venerdì 25 maggio 2012

Le quotazioni del titolo Facebook fanno riflettere: gli investitori fuggono.

L'esordio in borsa non è stato certo come si aspettavano Zuckerberg e i suoi prodi collaboratori e sicuramente nemmeno come auspicavano quei piccoli investitori annebbiati dalla fama del brand Facebook che vedevano nel titolo un investimento sicuro.


E' passata una settimana (da 18 maggio 2012) dal suo battesimo sul Nasdaq e l'andamento del titolo è ancora in difficoltà tanto che, Morgan Stanley, ovvero la principale banca che ha curato il collocamento in borsa di Facebook, nel corso della conference call con i broker che si è tenuta ieri sera, ha detto che regolerà i prezzi degli scambi avvenuti venerdì scorso, per assicurarsi che nessuno paghi più di 43 dollari per azione.

Secondo indiscrezioni di stampa americana, la banca d'affari ha infatti spiegato ai broker che gli ordini di vendita sulle azioni a un minimo di 43 dollari dopo l'IPO del social network non saranno realizzati, visti i bassi volumi a quella fascia di prezzo il giorno del debutto. In tale data, a causa dell'avvio ritardato degli scambi e di altri intoppi nel corso della seduta, ci sono stati problemi tecnici sugli ordini di acquisto, vendita o cancellazione: alcuni ordini possono essere stati così realizzati male, rovinando così l'IPO nel primo giorno di contrattazione. Intanto le perdite dei quattro principali trader al Nasdaq sul'Ipo di Facebook probabilmente superano i 100 milioni di dollari.

Morgan Stanley, dopo la rivolta degli investitori, pronta a regolare i prezzi delle azioni Facebook scambiate il giorno dell'IPO; infatti, durante la conference call tenutasi ieri sera, la banca la banca in questione si è dichiarata disposta a rimborsare chiunque abbia pagato più di 43 dollari, dati gli scarsi volumi di scambio sul titolo realizzati a quel prezzo.

Fino a qui ci siamo limitati ad osservare i fatti di questa settimana ma ora, forse, ci dovremmo porre il problema di spiegare i motivi di un "quasi fallimento" borsistico (riferendoci all'Ipo, sia chiaro) di un "colosso della rete; perché è questo che Facebook rappresenta per centinaia di milioni di utenti: un colosso economico. Ma un colosso di cosa? E' solo fumo o c'è di più? 

Interessante, a nostro giudizio, è l'opinione di Rich Karlgaard (editore di Forbes):
Mi piacciono Google, Intel, Cisco, IBM, Oracle, EMC e SAP perché l’economia mondiale dipende da loro. Certo possiamo vivere senza di loro, ma subiremmo enormi sconvolgimenti. I costi di transizione sarebbero estremamente alti. [...] Facebook non è integrata nell’economia globale e il suo marchio di tendenza sta rapidamente sbiadendo.
Questa incertezza sulla sua reale utilità di aziende come Facebook (per le imprese che ci fanno pubblicità, innanzitutto) inizia a pesare e,  General Motors ha deciso, poco prima della quotazione in borsa di Facebook, di tagliare completamente le spese per gli spazi pubblicitari a pagamento sul social network (circa 10 milioni di dollari dei 40 finora investiti). Senza contare che tutti i principali fondi di investimento e azionisti pre-IPO (Initial public offering) hanno deciso di liquidare grosse fette delle loro partecipazioni azionarie, anche fino al 50% del proprio pacchetto. La quotazione della società sembra quindi si stia dimostrando un'azione autolesionista, forse perché sta evidenziando i limiti del progetto di Zuckerberg.

Il limite più grosso, a nostro avviso pare la mancanza di un progetto preciso, frutto di un successo tanto improvviso (ed esplosivo), quanto inaspettato. Le potenzialità enormi fra le mani di Zuckerberg non hanno colto la potenzialità di cambiamento limitandosi a portare avanti qualcosa che già c'era; si sta lasciando sfuggire l'occasione di diventare un' "incubatrice" di nuovi contenuti. Avrebbe attratto numerose startup e non da escludere anche società più affermate, attratte da prospettive di guadagno elevate, garantendo così un evoluzione naturale del flusso d'innovazione e di rigenerazione tecnologica, in cambio di una percentuale sugli utili. A questi ricavi, avrebbe aggiunto la possibilità di sfruttare i dati (volontariamente) ceduti dagli utenti, per cucire loro addosso delle pubblicità personalizzate.

Siamo tutti d'accordo nell'affermare che è il contenuto, e non il contenitore, a fornire il "valore aggiunto" che attrae la pubblicità e, l’unico "valore aggiunto" che Facebook (che resta un contenitore e basta) potrebbe apportare è la sua attuale posizione dominante sul mercato, dovuta in parte all'essere diventato uno strumento utile per comunicare a costo zero. Gli investitori, evidentemente, devono aver pensato che è  troppo poco per vederci un business stabile e quindi per investire le proprie risorse (oggi spese in modo più oculato che mai).

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