lunedì 30 giugno 2014

Facebook fa esperimenti su oltre 600 mila utenti. Siamo solo marionette?

Un portfolio utenti così vasto lo possono vantare solo pochissime Società al mondo. Ora, volete farmi credere che, la tentazione e il pensiero di giocare al burattinaio, tirando i fili di "noi marionette", non sia mai balenata nelle cavità craniche dei dirigenti di questi colossi?


Ebbene, una delle prime a cedere (o per lo meno a venire allo scoperto) è stata Facebook che, con il suo Social Network (assai limitato ma, ahinoi, alla portata di tutti) ha messo alla prova gli utenti, valutandone poi le reazioni.

Cosa si è inventato questa volta il cavallo di razza partorito dalla mente di Zuckerberg? Questa volta ha davvero esagerato, infatti, manipolando gli algoritmi per la visualizzazione di contenuti sulle News Feed di 689.003 utenti, ha condotto un impressionante e controverso esperimento psicologico sulle emozioni umane, con le relative implicazioni.

L'integrazione sempre più massiva di Facebook nelle nostre vite, e l'utilizzo inconsapevole dello stesso, rischia di causare danni davvero devastanti. La portata del fenomeno è talmente estesa, che ci potremmo invischiare in situazioni più grandi di noi.

Cosa ce lo fa pensare? Basta sintonizzarsi su qualsiasi telegiornale, per capire quanto sia dannoso riversare la propria vita su un social network, ma ora, a rendere tutto ancora più inquietante, c'è il nuovo studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Science da parte della stessa Facebook.

L'esperimento è stato condotto in una singola settimana nel 2012, in cui la società ha alterato volutamente gli algoritmi per la riproduzione di contenuti nelle pagine di 689.003 utenti del proprio servizio per individuare il modo in cui "l'esporre gli utenti ad emozioni diverse influisse nella tipologia di contenuti pubblicati".

Parte degli utenti ricevevano nella loro News Feed contenuti essenzialmente "positivi", mentre gli altri contenuti negativi.

I post che gli "utenti cavia" pubblicavano, di riflesso, non venivano in alcun modo alterati e potevano essere visualizzati dagli amici sul social network come impostato dallo stesso utente nelle proprie impostazioni della privacy.

Con lo studio, gli scienziati che hanno condotto i test hanno dimostrato che l'apporto emotivo di un post è contagioso, in quanto gli utenti che ricevevano contenuti positivi si sono dimostrati in media più positivi nelle attività dei giorni a seguire sul social network. Viceversa, gli utenti che hanno avuto modo di entrare in contatto con contenuti emozionali "negativi" hanno ricevuto un'influenza negativa nell'umore e nei contenuti pubblicati nei giorni successivi.


Facebook ha dimostrato qualcosa che è assodato nei rapporti interpersonali tradizionali. L'umore è infatti contagioso: vedere ad esempio un amico in difficoltà può sconvolgere di riflesso anche il nostro animo e, grazie alla nuova ricerca, si è scoperto che anche il semplice contenuto testuale è un "canale sufficiente" per riprodurre lo stesso effetto:

Le interazioni interpersonali o i gesti non verbali non sono strettamente necessari per il contagio emotivo

sono le parole che si leggono sullo studio. La compagnia ritiene il nuovo esperimento come una prima assoluta nel suo genere, sia per le sue finalità che per l'enorme mole di dati a cui si è potuto attingere.

Si tratta, tuttavia, di uno studio estremamente controverso, che ha indignato gran parte della popolazione del web nello scorso fine settimana.

La società sottolinea di essersi comunque attenuta ai termini di servizio del social network, spesso poco considerati dagli utenti: questi ultimi, registrandosi al servizio, danno l'esplicito consenso al sottoporsi ad esperimenti, oltre ad una serie di fattori passati spesso in secondo piano.

Allo stesso tempo, tuttavia, il compimento senza preavviso delle sperimentazioni è stato visto come un abuso di posizione e popolarità da parte della compagnia di Zuckerberg. Sono state tante, infatti, le lamentele da parte degli utenti che hanno scoperto nel week-end di essere state cavie da laboratorio a loro totale insaputa. A tal punto che Adam D. I. Kramer, data scientist di Facebook e co-autore dello studio, è stato costretto a divulgare un comunicato ufficiale, spiegando i connotati più nascosti dello studio.

Abbiamo effettuato questa ricerca perché ci preoccupiamo dell'impatto emotivo di Facebook sulle persone che utilizzano il nostro prodotto [...] Abbiamo ritenuto che fosse importante studiare una credenza popolare, secondo la quale la gente si sente negativamente o emarginata dopo aver letto continui contenuti positivi da parte di amici. Allo stesso tempo, eravamo preoccupati che l'esposizione alla negatività degli amici potesse portare le persone ad abbandonare Facebook

 sono state le sue parole.

Kramer fa notare che lo studio è stato condotto su una piccola percentuale di utenti (circa lo 0,04% degli utenti registrati al social network), ed è stato indispensabile per contraddire una credenza convenzionale, in quanto è stato dimostrato come i contenuti positivi portino ad ulteriori contenuti positivi.

In un'intervista separata al Guardian, la società ha dichiarato che la ricerca è stata pensata per "migliorare i nostri servizi e per rendere i contenuti che la gente vede su Facebook il più rilevanti e coinvolgenti possibile".

Un punto che batte lo stesso Kramer sul suo comunicato su Facebook:

L'obiettivo di tutti i nostri studi sul social network è quello di imparare a fornire un servizio migliore. Col senno di poi, i benefici della ricerca non giustificano tutto il disappunto mostrato dagli utenti del servizio durante il fine settimana.

Dal 2012, in base alle parole di Kramer, Facebook ha migliorato le sue pratiche di revisione interna, e le ricerche future prenderanno in severa considerazione le reazioni ottenute dalla pubblicazione dello studio degli scorsi giorni.

Quindi, per Kramer è meglio migliorare un servizio, peraltro non richiesto dagli utenti che rispettare la privacy degli stessi?

Se vi chiedevate come potevano sentirsi le cavie di laboratorio, durante gli esperimenti delle multinazionali farmaceutiche, forse un'idea un po' più chiara ve la sarete fatta. Non so se l'avete notato però, non sono altre cavie a sottoporre i propri omologhi agli esperimenti...
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sabato 28 giugno 2014

Android L mette la freccia e sorpassa Android KitKat: ecco il confronto grafico

Come tutti saprete, durante la Google I/O conference 2014 di mercoledì scorso, Google , tra le tantissime novità, ha presentato al mondo intero il nuovo sistema operativo per smartphone e table: Android L.


Molte le novità rispetto a KitKat, in primis la vocazione al design e all'estetica minimal. Le parole chiave usate durante il Keynote, per definire la nuova veste grafica dell'OS, sono state proprio material design: il nuovo design di Android L, infatti, coinvolge anche le animazioni e la fluidità di sistema.

La nuova versione dell'OS Android presenta una nuova interfaccia grafica del tutto ridisegnata, ed anche le app native vengono riproposte con una connotazione estetica più coerente con il resto del nuovo design.

Il sistema operativo diventa ancora più piatto e con colori più vivaci, accostandosi al minimalismo importato da Windows Phone sul settore mobile. La nuova versione utilizza nuove animazioni e una riproduzione "tridimensionale" per mezzo di ombre calcolate in tempo reale per offrire maggiore profondità e "realismo materiale" alle schermate, altrimenti estremamente stilizzate.
PhoneArena ha proposto una serie di immagini comparative fra le nuove schermate di Android L e le relative di KitKat, mostrando in maniera evidente l'impatto del nuovo aggiornamento dal punto di vista estetico.













La nuova interfaccia introdurrà numerose funzionalità aggiuntive come notifiche disponibili anche sulla schermata di blocco, una nuova gestione delle notifiche in finestre pop-up, nuova schermata delle app recenti, una nuova tastiera (già disponibile su Play Store per i dispositivi KitKat, anche se non rilasciata da Google), e molto altro.

Inoltre, dando un'occhiata al changelog ufficiale integrale rilasciato da Android Central, balzano all'ochio numerose migliorie che il futuro OS Android L (presto disponibile in versione Developer Preview per alcuni dispositivi Nexus) porterà in dote, a dispetto del padre naturale Android KitKat.

Le novità introdotte da Google in Android L sono le seguenti:

  • Nuove API per la modalità Burst della fotocamera (scatto rapido)
  • Codec H.265
  • NDK media APIs TV input framework
  • Patch per la latenza dell’audio durante la registrazione
  • Migliorata AV Sync
  • Audio USB
  • Supporto per i comandi tramite hotword a dispositivi di cast (tipo Chromecast)
  • ART di default
  • Supporto all’ambiente a 64-bit
  • Project Volta
  • Migliorate le statistiche della batteria con aggiunta di tempo previsto rimanente
  • Storico della batteria
  • Tempo necessario per ricaricare il dispositivo nella lockscreen
  • JobScheduler
  • Multi-network
  • Supporto al Bluetooth 4.1
  • Supporto modalità Bluetooth Low Energy sia centrale che periferica
  • HFP 1.6 SAP
  • Multi HFP
  • Mappa delle Email
  • Supporto Open GL ES 3.1 ed Android Extension Pack
  • Sblocco personale
  • Enterprise
  • Obbligo da parte degli sviluppatori ad utilizzare le linee guida di Google
  • Nuova interfaccia per il Multi-tasking
  • Notifiche nella lockscreen
  • Notifiche heads Up
  • Modalità “Non disturbare”
  • Nuovi Quick Settings
  • Blocco rotazione del dispositivo
  • Migliorato il supporto ai controller per giochi
  • Possibilità di bloccare la rotazione del display Inversione colore
  • Correzione dello spazio di colori
  • Sottotitoli Migliorato il rendering del testo
  • Nuovo tema
  • Nuove transizioni tra activity
  • Vista ombreggiatura
  • Vista in rialzo
  • RecycleView
  • CardView
  • Path animations
  • Estrattore colore
Come già anticipato, Android L verrà messo presto disponibile in versione Developer Preview per alcuni dispositivi Nexus, non ci rimane che rinviare l'appuntamento per nuovi aggiornamenti.
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venerdì 27 giugno 2014

La trombosi del gamer: avvertimenti

Ancora una volta ci troviamo di fronte al dilemma che vede protagonisti, gli amanti dei videogames: sono uno strumento formativo oppure sono deleteri per la crescita dell'individuo (soprattutto in fase adolescenziale)?


A partire dal caso di un ragazzo che ha giocato ai videogame per 4 giorni di fila per più di 8 ore al giorno i medici hanno stabilito che esiste una vera propria trombosi del gamer.

C'è chi appoggia l'una e l'altra tesi, e non siamo noi a dirlo ma i ricercatori delle facoltà più disparate.

E' evidente ed univocamente interpretabile, però, che l'abuso degli stessi, non posso portare altro che guai al videogiocatore..

Ne è testimone un ragazzo che ci ha giocato per 4 giorni di fila, per più di 8 ore al giorno. I medici, peraltro, hanno stabilito che esiste una correlazione tra abuso videoludico e la cosiddetta "trombosi del gamer".

La nomenclatura individuata, si rifà alla definizione ufficiale di “trombosi venosa profonda, ovvero quella patologia dovuta a un coagulo (trombo) a livello venoso profondo degli arti inferiori (trombosi venosa).

Il ragazzo in questione (31enne) ha sviluppato dei coaguli di sangue talmente pericolosi che gli scienziati dell’ospedale di Middlemore d’Auckland hanno tratto dal suo caso un nome per la patologia. Ovvimanete si tratta di un esempio estremo, ma non è un pericolo da sottovalutare.

Il giovane è rimasto seduto sul suo letto per quattro giorni di seguito, con le gambe stese, e ha giocato per tutto il tempo alla playstation.

All’inizio del secondo giorno ha cominciato a sentire un certo dolore e si è accorto di uno strano gonfiore alla gamba sinistra ma lo ha ignorato per altri due giorni. In realtà aveva sviluppato proprio una trombosi venosa profonda. I coaguli di sangue che si erano formati avrebbero potuto staccarsi improvvisamente bloccandone la circolazione e causandone la morte.

Ci sono voluti molti anticoagulanti per risolvere il disastro. Insomma rimanere immobili per molte ore di fila può essere estremamente pericoloso.

Fate una pausa almeno ogni ora, oppure rivedete i vostri programmi per la giornata.
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giovedì 26 giugno 2014

Google I/O 2014: and the winner is Moto360

Nonostante alla I/O Conference si sia concentrata l'attenzione dei due esemplari di smartwatch di LG e Samsung, e tutti i protagonisti che hanno calcato il palco ne indossassero uno (con addirittura un ringraziamento particolare a Samsung per la collaborazione), la nostra attenzione è caduta proprio sull'esemplare realizzato da Motorola.


A differenza di LG G Watch e Samsung Gear Live, Motorola Moto 360 non è ancora disponibile per il pre-ordine su Google Play Device, ma è assai più seducente.

Moto 360, a differenza degli altri smartwatch, vanta un form factor circolare, dimensioni più generose, ma anche una sensazione di trovarsi di fronte a un dispositivo più elegante e dalle finiture più curate.


Moto 360 sarà disponibile in colori differenti, ognuno abbinato ad un diverso cinturino. Si distingue dalla concorrenza per l'uso di un display edge-to-edge, luminoso, parecchio bello da vedere e che ricopre la superficie frontale del dispositivo in quasi tutta la sua interezzaa, se si esclude una piccola cornice, anch'essa circolare, e una piccola sezione nella parte inferiore.


Una scelta stilistica obbligata per Motorola, in quanto sotto l'inserto nero viene implementata la componentistica elettronica necessaria per gestire le immagini sullo schermo. Il dispositivo è apparso fluido e reattivo durante l'uso, così come gli altri Android Wear mostrati sul palco del Moscone Center durante l'evento di lancio della Google I/O.

Una curiosità riguardo al bel design di Moto 360: la società ha chiesto di disegnare un orologio ad un gruppo di ragazzini, che hanno risposto proponendo esclusivamente accessori caratterizzati dal design circolare, così come consuetudine nel settore della moda. È così che Motorola ha individuato come operare per quanto concerne il design dello smartwatch, una scelta che potrebbe pagare appieno.

È ancora presto per trarre conclusioni, tuttavia Motorola Moto 360 sembra una soluzione diversa rispetto a quanto già presente nel mercato degli indossabili.

Non solo noi abbiamo voluto dare risalto a questo gardget così sofisticato; anche la testata di TheVerge lo ha proclamato "star della Google I/O di quest'anno", anche se il dispositivo non sarà disponibile a partire da luglio come i suoi diretti concorrenti basati su Android Wear.

Ecco alcuni video reperiti in rete, per vedere un po' più da vicino il fantomatico Moto 360:







Purtroppo, i video presenti in rete (e quindi quelli sopra riportati), si riferiscono a devices con software demo e dunque l'interazione è molto limitata, possiamo però osservare il design e le particolarità di questo orologio da polso, ops, questo smartwatch.

Motorola non ha ancora annunciato specifiche tecniche accurate, né date esatte per la commercializzazione o dettagli sul prezzo. Tutto quello che si sa è che Moto 360 sarà disponibile a partire dalla prossima estate e che il prezzo, anche se non è ancora stato ufficializzato, dovrebbe con tutta probabilità aggirarsi attorno ai 249€.
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mercoledì 25 giugno 2014

La Russia abbandona Intel e AMD per puntare sulla tecnologia nazionale

La diffidenza russa all'utilizzo della tecnologia americana è da sempre evidente al mondo intero: lo scandalo NSA, però, ne ha rafforzato il convincimento.


A tal proposito, il Ministero del Commercio e dell'Industria russo, ha pianificato l'aggiornamento di tutti i computer e server governativi nazionali con un modello di processore domestico, Baikal, specificando che l'obiettivo è quello di "sostituire i microchip americani prodotti da Intel e AMD".

Il governo investirà "decine di milioni di dollari" per il processo di sostituzione.

Dietro a Baikal troviamo l'architettura Cortex-A57 proprietaria della britannica ARM, per un modello di SoC a 64-bit strutturato su otto core da 2GHz. Il processore è progettato da T-Platform (produttore del supercomputer russo) e Rostec, ed è co-finanziato dal gigante tecnologico russo Rusnano. Tutte realtà che vantano un'ottima esperienza nel settore, ma che soprattutto si sono mostrate fedeli nel tempo al Cremlino.

Utilizzando tecnologie nazionali, la Russia avrà un maggiore controllo su quanto presente all'interno dei computer e server governativi, scongiurando la presenza di funzionalità che possano garantire un più facile accesso ai dati interni alle agenzie straniere.

I computer governativi russi adotteranno naturalmente Linux come sistema operativo, e non è da escludere l'implementazione di una distribuzione personalizzata.

I chip Baikal verranno installati in tutti i computer degli organi di governo e nelle imprese statali, all'interno di un mercato da 700 mila personal computer e 500 milioni di dollari, e da 300 mila server per 800 milioni di dollari all'anno.

La Russia è una delle poche superpotenze economiche a potersi permettere investimenti tali, in un contesto storico così delicato. Forse emotivamente non si è mai emancipata dalla Guerra Fredda, o più semplicemente è più lungimirante di noi tutti e, preferisce l'indipendenza completa dagli Stati Uniti che da anni fanno il bello e il cattivo tempo, senza rendere conto a nessuno.
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martedì 24 giugno 2014

Brevetti software a rischio: arriva una sentenza della Corte Suprema USA

Secondo una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d'America, i brevetti software non sono validi se equiparabili ad un'idea astratta. 


Questa è la sentenza che potrebbe cambiare le carte in tavola nel mondo della tecnologia, per come lo conosciamo noi ora. 

Nell'epilogo di un contenzioso legale tra Alice Corporation Pty. Ltd. e CLS Bank International ha avuto un esito del tutto inaspettato: è stato deciso, infatti, che i brevetti software non sono ammissibili quando corrispondono ad idee astratte. Da sempre questo tipo di idee, afferma la Corte non sono brevettabili.

Ad Alice Corporation sono stati riconosciuti una serie di brevetti per un software che individua un patteggiamento tra due parti e elabora istruzioni per le istituzioni impegnate a concretizzare l'accordo. La giustizia ha definito "generico" il software e mancante della capacità di portare alcuna evoluzione tecnica o miglioramento al funzionamento del computer.

Clarence Thomas, Giudice della Corte Suprema, ha osservato:

I brevetti al centro del caso rivelano uno schema di implementazione computer per mitigare il rischio di patteggiamento tramite un intermediario terzo. Sosteniamo che le affermazioni in esame sono equiparabili all'idea astratta del patteggiamento intermediato e che la mera richiesta di una generica implementazione computer non trasforma quest'idea astratta in un'invenzione brevettabile.

I sostenitori dell'open source, come la Electronic Frontier Foundation, ritengono che la sentenza sia un passo nella giusta direzione per mettere un freno al cosiddetto "patent-trolling" e migliorare l'esperienza dell'utente. 

Daniel Nazer, avvocato per l'EFF, ha dichiarato:

Crediamo che elimini molti dei peggiori brevetti che vi sono la fuori, oltre ai ridicoli ed eccessivi brevetti software. Molti brevetti dei patent troll sono ora più opinabili di quanto fossero in precedenza. Penso che vi sarà più attenzione al creare prodotti che le persone vogliono e metterli sul mercato, invece che nel farsi la guerra con i brevetti.

Gli analisti del settore ritengono però che la decisione non porterà particolari cambiamenti o riferimenti di brevettabilità, pur con i brevetti spesso oggetto di dibattiti accesi e considerati catalizzatori di innovazione da un lato e, al contrario, strumenti dannosi dall'altro.

Chi richiederà il riconoscimento di un brevetto, dovrà cercare di immaginare cosa sia un software generico e cosa sia una reale invenzione.

Coloro i quali richiedono un brevetto software dovranno argomentare che le loro innovazioni non sono generiche implementazioni di idee standard. Chi invece si troverà a mettere in discussione questi brevetti dovrà riuscire a dare una definizione la più ampia possibile di generic computer implementation e dimostrare che ogni brevetto software attaccato implica tecnolgie computing già note e idee astratte

ha osservato Florian Mueller, analista che segue da vicino i numerosi contenziosi legali del mondo della tecnologia.

La sentenza sarà comunque oggetto di varie interpretazioni ed è possibile in ogni caso l'invalidazione di molti brevetti software. Saranno necessario almeno due o tre anni prima che sia possibile avere una buona comprensione delle implicazioni pratiche di questa decisione.

La decisione della Corte Suprema giunge a circa un anno di distanza dall'introduzione del Patent Litigation and Innovation Act nella Camera dei Rappresentanti, il cui scopo sarebbe quello di dare giusti strumenti per combattere i patent troll e rendere i contenziosi meno onerosi.

La proposta di legge aveva ottenuto il supporto del Presidente Obama, ma è stata rimossa dall'agenda del Senate Judiciary Committee lo scorso mese dal Senatore Patrick Leahy.
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lunedì 23 giugno 2014

Franceschini firma il decreto "equo compenso". Al via le polemiche

Era nell'aria ed finalmente (forse) è arrivato. Stiamo parlando del decreto volto ad adeguare le tariffe dovute da chi usufruisce a titolo privato di contenuti multimediali, come la legge sul diritto d'autore prevede.


La questione non verte sul legittimo diritto di salvaguardare le opere di ingegno e i compensi che spettano a chi produce contenuti: ci troviamo di fronte più che altro ad una ennesima prova di menefreghismo e sordità nei confronti di molte delle parti chiamate al tavolo di discussione (in pratica è stata ascoltata solo la SIAE), e su una ben più grave modalità di raccolta di soldi tramite una tassa (sì, una tassa, ma ci torniamo dopo) applicata in molti casi senza alcun criterio logico (in ultima pagina trovate le motivazioni, già espresse anche in altri articoli).

Ma di cosa si tratta esattamente?

Dario Franceschini è ministro dal 22 febbraio 2014, motivo per cui possiamo portare a sua discolpa il fatto di essere in questa posizione istituzionale da poco, "ereditando" gran parte dei lavori già impostati dal suo predecessore Massimo Bray.

Sarebbe ingiusto parlare di ignoranza e di legiferazione su un argomento non conosciuto; riportiamo infatti il video di un tavolo di discussione parlamentare pubblicato il 7 maggio 2014 (durata oltre 40 minuti, ma ne vale la pena), in cui il ministro sembra conscio delle problematiche (o almeno di alcune) che gravitano intorno allo spinoso argomento.

Quello che indigna la rete, gli addetti ai lavori e i cittadini più informati è che nulla cambia rispetto alla vergogna della legge vigente, se non che ora pagheremo molto di più rispetto a prima andando ad acquistare qualsiasi apparecchio in grado di registrare o riprodurre materiale multimediale, a prescindere che sia usato per godere di contenuti protetti dal diritto d'autore oppure no. Acquistiamo una memory card per la macchina fotografica? Una parte di quei soldi andrà agli iscritti alla SIAE. Evidentemente è assurdo per tutti tranne che per il legislatore e la SIAE.


E' evidente che il ministro, nel video, dimostra di essere a conoscenza di alcune problematiche che affliggono il Paese (in tema di diritto d'autore nella fattispecie), ma commette l'errore "madornale" di ascoltare univocamente il punto di vista della SIAE (non a caso beneficiario del decreto).

L'esordio del video di Galan, poi, non si confà di certo ad un Ministro (lo fu durante il Governo Berlusconi), ma è l'interventi di Franceschini che ci lascia basiti. Dire che gli oneri ricadranno solamente sui produttori di periferiche per la memorizzazione e sulle Società che li importano, è eufemisticamente una sottovalutazione del problema. Da che mondo e mondo, l'incremento della tassazione sulle Aziende, si ripercuote sul prezzo finale d'acquisto dei beni e di conseguenza sui consumatori.

In ogni caso, il tavolo delle trattative (con le molte parti in causa) non ha portato a nulla, come affermato dallo stesso ministro. Esattamente come il decreto Bondi, la nota ministeriale sembra scritta sotto dettatura SIAE e cerca di convincerci sulla bontà della causa, senza riuscirci minimamente, non sul concetto di base, ma sulle modalità. I principali protagonisti della nota sono smartphone e tablet, ovvero la vacca più grassa da mungere al giorno d'oggi, ma seguirà anche la liste di tutti i dispositivi elettronici in grado di archiviare e/o riprodurre contenuti multimediali.

La SIAE sarà sicuramente soddisfatta di questo risultato, non i può dire lo stesso delle altre parti in causa, compresi i consumatori.

Ancora una volta, il Governo si premura di tutelare le caste, non pensando al progresso, imbrigliando ancora di più l'iter burocratico che da sempre è nemico dell'evoluzione, nella fattispecie del progresso tecnologico.

Investireste mai su un'Azienda che fa investimenti controproducenti per voi e per (quasi) tutta la comunità?
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domenica 22 giugno 2014

iWhatch: spunta la possibilità dello schermo da 2,5" (sarà vero?)

Anche se i concorrenti diretti hanno fatto il loro esordio nel mercato consumer, non suscitando troppo entusiasmo, iWatch rimane il prodotto tecnologico più atteso.


Ormai ci siamo, tutto sembrerebbe essere pronto alla Quanta Computer Inc di Taiwan, è arrivata l'ora della produzione in massa di iWatch. Fonti vicine alla Società taiwanese, infatti, hanno riferito all'agenzia Reuters che tutto si sta mettendo in opera affinché le catene di montaggio partano a luglio per produrre il primo smartwatch di casa Apple.

Il futuro iWatch potrebbe misurare 2,5 pollici sulla diagonale principale dello schermo ed avere una forma leggermente rettangolare, aggiunge la fonte. Ci si aspetta anche che il display sia curvo e flessibile o che lo sia il braccialetto semi-rigido dell'iWatch.

Uno schermo da 2,5'' è molto più grande da quanto si è commentato finora riguardo all'iWatch, anche se quelle che sono trapelate sono solamente voci mai confermate. I rumors avevano menzionato uno schermo fra 1,3'' e 1,6'', i quali potevano anche essere due versioni dello stesso prodotto, per donna e per uomo. Lo schermo da 2,5'' è invece delle stesse dimensioni di quello dell'iPod nano, anche se la forma dell'iWatch sarà meno rettangolare del nano.

Ulteriori indiscrezioni riguardo all'iWatch menzionano un'interfaccia tattile (come il touchscreen dell'iPhone o dell'iPad, per intenderci) e la possibile di ricarica wireless. Inoltre, l'iWatch sarà letteralmente imbottito di sensori, secondo quanto scrive Reuters, tutti mirati a monitorare la salute dell'utente. Si parla in particolare di sensori ottici posti sul retro del dispositivo, a diretto contatto con il polso, per misurare vari parametri biometrici, come il battito cardiaco ed i livelli di ossigeno nel sangue. Tutti i biosensori saranno ovviamente compatibili con Healthbook.

Oltre alle dimensioni, stanno trapelando nelle ultime ore, ulteriori dettagli sul futuro del gioiellino Apple. L'Wall Street Journal parla addirittura della possibilità di reperire iWatch in diverse taglie e misure, e che integrerà al suo interno oltre 10 sensori per monitorare il nostro stato di salute e l'andamento dell'allenamento. La speranza di Cupertino è di superare in fantasia e utilità le funzioni legate agli smartphone che oggi qualificano, e limitano, gli usi di uno smartwatch, il che le permetterebbe di differenziarsi così da gingilli come Galaxy Gear 2, che tra l'altro, come detto in precedenza, non se la passano neppure troppo bene.

Se tutto va come previsto, iWatch debutterà in autunno, probabilmente verso ottobre con un evento Apple ad hoc.
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venerdì 20 giugno 2014

Ha inizio il toto-smartwatch: il design del nuovo Moto 360 è fra questi 10

All’inizio di quest'anno Motorola ha chiesto ad alcuni designer di proporre dei progetti per il suo smartwatch Moto 360.


Sommersa da più di 1300 progetti, il campo è stato ristretto a 10 design e tutti possono votare per scegliere quello che potrebbe davvero diventare il dispositivo da polso di Motorola.

Ce ne sono alcuni molto carini e vanno dai più simili ad un dispositivo analogico e quelli più moderni. Potete leggere i dettagli su ogni designa (a cosa si ispirano e come sono stati realizzati) sul profilo Google+ di Motorola, dove si può anche votare e scegliere quello che vi piace di più.

Il progetto che riceverà un numero più alto di +1 entro il 24 giugno sarà scelto come quello che Motorola produrrà.











Pronti a votare? A chi andrà la vostra preferenza?
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giovedì 19 giugno 2014

Scoperta falla nel sito della Pubblica Amministrazione (www.acquistinretepa.it). Ora risolto grazie ad un'inchiesta

Oggi parleremo della Pubblica Amministrazione. Forse vi chiederete quale possa essere il nesso di causalità tra i contenuti solitamente trattati da Tecnodiary2 e la PA.


La risposta sta nel report redatto da "Il Fatto Quotidiano", nel quale si denuncia il grado di sicurezza del Portale degli acquisti della sopra riportata Azienda.

Nonostante la PA sia uno degli anelli deboli della nostra penisola, e conseguentemente abbia diverse pecche da analizzare, oggi ci concentreremo su ciò che interessa più da vicino la nostra realtà tematica, ovvero il mondo dell'IT. 

La vulnerabilità del portale dello Stato, infatti, non solo permetteva a un utente mediamente esperto di impostare alcune opzioni, gli prospettava anche la possibilità di accedere a dati privati sensibili. Dopo la denuncia, da parte del quotidiano romano, la struttura del sito è cambiata, con un form per il login per gli amministratori.

Procediamo con ordine:

Un giornalista de Il Fatto Quotidiano è riuscito a ottenere informazioni e dati sensibili dal Portale degli Acquisti della Pubblica Amministrazione gestito dal Ministero dell'Economia e da Consip. Documenti interni, offerte di aziende e PDF contenenti carte d'identità erano alla mercé di qualsiasi utente avente un minimo di perizia informatica.

Non era necessario "nessun hackeraggio", dal momento che il sito risultava "sostanzialmente privo di protezione anti-intrusione". Il portale viene utilizzato per gestire offerte e bandi da parte di vari enti e, per interagire con il suo "pannello di configurazione", bastava semplicemente "aggiungere un'estensione facilmente individuabile" da un utente competente in materia di web, e della struttura dei vari siti.

Dal pannello era possibile gestire le credenziali dei singoli utenti registrati, potendo decidere i permessi del singolo utente, e lo poteva fare "chiunque, comodamente dal PC di casa sua", scrive il quotidiano italiano. Infatti, per accedere al pannello di configurazione del Portale degli Acquisti della PA non era necessario alcun log-in, nessuna credenziale o password per poter effettuare modifiche all'interno del sito.

Inoltre, con semplici modifiche dell'estensione era possibile aprire una "sorta di plancia di comando", con la quale controllare il database del portale e, soprattutto, eseguire query, ovvero richiedere la lettura dei dati contenuti all'interno del database.

Per effettuare l'operazione era necessaria una minima competenza di base sull'argomento, unico requisito per poter accedere all'intero database del portale.

Non era necessario alcuno strumento, o violare alcuna legge, per accedere ai dati sensibili, secondo Il Fatto Quotidiano, che cita il webmaster Fabrizio Vassallo:

Per quanto protette potessero essere le pagine, se io riesco ad accedere a questo pannello di controllo posso comunque prendermi i dati che voglio. Anzi grazie all’accesso diretto al database posso cercare i dati scegliendo pure che cosa voglio vedere. Come un vero e proprio motore di ricerca. Tutto lecito: solo che nessuno, tranne i gestori del portale, dovrebbero poterlo fare.

Il quotidiano è riuscito a disporre anche di file PDF relativi a documentazioni private, come raccomandate inviate da una società esterna alla Consip, con i "conti correnti intestati alla società vincitrice di bando" e i documenti dei rispettivi amministratori dell'azienda come, ad esempio, le carte d'identità.

Come scrive Vassallo, ci troviamo di fronte a una ingenua vulnerabilità che avrebbe permesso a qualsiasi utente malintenzionato di accedere a tutti i dati sviluppando un semplice software in grado di scansionare tutti i numeri finali dell'url, da 1 a 10.000, per scaricare i contenuti di tutte le pagine.

Si è corsi ai ripari?

La denuncia de Il Fatto Quotidiano è stata determinante, infatti, a seguito della stessa, il portale è ha provveduto ad implementare un sistema di riconoscimento (banalmente un form per il log-in specifico per gli amministratori), in modo che non è più possibile accedere alle informazioni.

Cosa dicono gli interessati?

Le modifiche sono arrivate in seguito alla replica di Consip, che sostiene che quanto disponibile a tutti fosse solamente materiale di dominio pubblico:

Il pannello a cui si riferisce l'articolo non è altro che la pagina iniziale del motore di ricerca interno alla piattaforma. [...] Attraverso il quale possono essere raggiunti solo documenti pubblici, senza possibilità di modificare né i dati e neppure il database, ma solo i criteri della ricerca.

scrive la Consip in risposta al pezzo del quotidiano

I documenti oggetto dell’articolo sono pubblicati sul sistema ed accessibili da un qualsiasi utente (anche non registrato al sistema) attraverso i normali percorsi di consultazione del portale Acquistinretepa.it.
continua la società che gestisce il portale. La risposta non ha convinto la redazione de Il Fatto Quotidiano, che scrive:

È per questo che è perfino scaricabile l'appunto dei vostri tecnici inerente agli aggiustamenti grafici da apportare al sito? 
È un fatto, poi, che dopo alcune ore dalla pubblicazione del nostro articolo, il portale sia stato modificato [...] Ora per inserirsi nel sistema occorrono Id e password come in qualsiasi altro sito. Segno che quanto da noi denunciato era effettivamente una grossa anomalia.

Come siamo ormai abituati a vedere, se le segnalazioni non arrivano dall'esterno (vedi inchieste giornalistiche/televisive), lo Stato chiude un occhio, e forse anche tutti e due. Non voglio pensare, che chi di dovere, non fosse giunto alla stessa conclusione, prima della segnalazione. Cosa ha impedito allora di risolvere il problema o addirittura evitarlo già a monte?
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mercoledì 18 giugno 2014

YouTube Music Pass: Google erge un muro per escludere le etichette indipendenti

La fruizione di video, ormai da anni passa da You Tube: chi di noi, infatti, non è mai curiosato sul sito posseduto da Google e chi non ha mai condiviso qualche video con amici, sul proprio social network o sul proprio blog?


Ebbene, qualcosa potrebbe cambiare: si tratta di una bomba che si starebbe sganciando in rete, la quale scatenerebbe uno tsunami di critiche e di disagi.

La fonte è interna all'azienda, infatti, un dirigente di YouTube avrebbe dichiarato al Financial Times, l'intenzione della piattaforma di inizierà a bloccare i video delle case discografiche, che rifiutano di siglare gli accordi di licenza del servizio YouTube Music Pass che sta per essere lanciato.

E' indubbio, che di prima istanza, non potrebbe sembrare altro che un attacco suicida, la mossa più sbagliata che Google possa fare. L'infelice strategia, rischia di svilire la vera essenza di YouTube.

E' passato quasi un decennio da quando YouTube ha fatto la sua comparsa, nel febbraio 2005 e da allora la piattaforma di video ha cambiato la storia di internet diventando meta preferenziale per qualsiasi cosa si stesse cercando, a prescindere della qualità e dalla tipologia di video ricercati.

Trailer dei film, video musicali, video curiosi e talvolta stupidi ma che talvolta divengono tormentoni della rete. Insomma, un canale alla portata di tutti e a misura d'utente.
 
Per l'utenza adolescente, YouTube è, di fatto, il mezzo più usato per ascoltare musica, per non parlare del fatto che i giovani artisti in cerca di visibilità trovano nel servizio video di Google il canale più accessibile per farsi conoscere. Inoltre, il servizio ID permette agli artisti indipendenti di guadagnare qualche soldo piazzando i link dai quali è possibile acquistare i loro lavori. 

Da YouTube sono nati personaggi radiofonici (Willwoosh), fenomeni televisivi (Cliomakeup), etc.. E' un servizio apprezzato un po' da tutti.

Nonostante l'enorme successo del servizio, Google negli ultimi anni sta cercando di dare un taglio diverso alla propria strategia di gestione: in sostanza sta cercando di monetizzare. Come? Ovviamente lanciando servizi premium per ricavare ancora più introiti sfruttando la sua posizione di dominio nel mercato.

Secondo il Financial Times, l'azienda di Santa Clara, avrebbe siglato un accordo con le tre maggiori case discografiche (Sony, Warner, Universal) e lo farà anche con un buon numero di etichette indipendenti arrivando al 90 per cento del mercato musicale.

Rimane un 10 per cento: il responsabile dei contenuti dell'azienda, Robert Kyncl, ha dichiarato al quotidiano economico che l'idea è quella di bloccare i video delle etichette indipendenti che non hanno siglato l'accordo "ed è una questione di giorni". Tra queste etichette figurano XL Recordings e Domino Records che vantano nelle loro scuderie artisti come Adele, Animal Collective, Arctic Monkaeys e altri molto popolari.

Alcune etichette si rifiutano di accettare le condizioni perché sostengono che, mentre le grosse aziende hanno raggiunto accordi molto remunerativi, le condizioni riservate alle etichette indipendenti sono, in confronto, pessime. Ma la situazione è chiara: se non accettano le condizioni di Google, sei fuori dalla piattaforma.

La forza della piattaforma è sempre stata la sua straordinaria apertura, la libertà con il quale i fenomeni della rete hanno potuto esibirsi e farsi conoscere. 

Fenomeni della portata di Psy e Justin Bieber (a prescindere da come la pensiate sulla loro musica), hanno raggiunto milioni di fan e si sono affermati proprio grazie a YouTube. Se, però, Google decide davvero di alzare un muro invalicabile e porre fine a questa apertura, YouTube come lo abbiamo sempre conosciuto, e che abbiamo tanto amato, sparirà per sempre.

La strategia delle "Grandi della rete" sembra sempre più chiara: aumentare il portfolio clienti con il conseguente consolidamento della posizione dominante, per poi cambiare la strategia che le ha rese grandi in corsa, monetizzando il grosso potenziale, detenuto nelle loro mani.
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martedì 17 giugno 2014

Bus elettrico: ricarica in 15 secondi

La tecnologia ha fatto passi avanti e, con l'avvento delle batterie di ultima generazione, si sono riusciti a raggiungere livelli di performance sempre più elevati.


Ovviamente i limiti infrastrutturali e logistici, legate alla diffusione delle batterie elettriche, sono evidenti. Se da un lato la richiesta di tecnologie eco-compatibili è sempre più insistente, dall'altro è lapalissiano che, la diffusione delle piattaforme di ricarica, stenta a decollare.

Per via di questa arretratezza, i veicoli elettrici come gli autobus sono costretti ad andare in giro tutto il giorno restando connessi ad una specie di ragnatela di cavi sospesa a mezz'aria.

Tutto questo, però, potrebbe cambiare, come mai? I ricercatori dell'EPFL (École polytechnique fédérale de Lausanne) che hanno sviluppato un bus elettrico in grado di ricaricarsi ad ogni fermata che duri almeno 15 secondi, ponendosi come valida alternativa a quelle infrastrutture costose che, ad ora, non possiamo evitare.

Convertire i rivestimenti delle pensiline delle fermate dei bus di una città, con sistemi di ricarica, è comunque un investimento costoso, ma molto meno di quanto non lo sia tessere una vera e propria ragnatela di alimentazione elettrica e mantenerla, oppure rifare il manto dell'intera rete stradale cittadina per interrare cavi a induzione.

Certo il progetto presenta alcune sfide. I ricercatori stanno mettendo a punto un software che consenta di individuare i punti migliori dove installare le fermate/stazioni di ricarica per mantenere la rete dei bus il più affidabile possibile.

Il sistema attuale, consente di ricaricare, ad ogni fermata, un autobus per volta e se un altro autobus dovesse aver bisogno di energia, e dovesse mettersi in coda per aspettare, questo potrebbe provocare ritardi a catena su tutta la rete.

L'adozione di un sistema del genere, richiede investimenti non solo in hardware, ma anche nella riorganizzazione dell'intero sistema di trasporti urbani di una città.

L'investimento a lungo termine, però, potrebbe portare grossi vantaggi, dato che il bus elettrico concepito dall'EPFL, è in grado di ricaricaricarsi in soli 15 secondi. Questo potrebbe voler dire che, installando delle pensiline dotate del kit di ricarica ad ogni fermata, si garantirebbe l'autonomia necessaria ai bus per lo svolgimenti dei regolari servizi.
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lunedì 16 giugno 2014

Addio Nokia, questa volta la fonte è affidabile, si tratta di @evleak

Quante volte abbiamo creduto che il destino di Nokia fosse appeso ad un filo, che il fantomatico brand mobile fosse destinato a scomparire per sempre. Queste voci si sono fatte sempre più insistenti, durante l'acquisizione del marchio da parte del colosso di Redmond.


Questa volta, la fonte sembra attendibile, e riporta l'ennesima conferma sul futuro del brand: Nokia potrebbe scomparire dal settore degli smartphone entro i prossimi 18 mesi.

Il brand finlandese sparirà completamente dal settore degli smartphone nei prossimi mesi, come frutto dell'acquisizione della divisione Devices & Services da parte di Microsoft. Le novità sono emerse da un presunto documento ufficiale, pubblicato sulla pagina Twitter di @evleak, celebre fonte verificatasi estremamente affidabile.

L'acquisizione di Nokia da parte di Microsoft, come saprete, è stata ufficializzata lo scorso autunno e perfezionata nel mese di aprile. Gli accordi porteranno Nokia ad essere una costola di Microsoft, che potrà disporre di un team interno per la produzione di smartphone Windows Phone proprietari. Il colosso di Redmond avrebbe scelto, stando alle ultime informazioni, di abbandonare del tutto le nomenclature che hanno fatto la storia della mobilità cellulare.

Microsoft continuerà ad utilizzare il brand Nokia per i dispositivi Lumia per i prossimi 18 mesi [...] Potrà utilizzare il brand Nokia per i dispositivi della famiglia Nokia X fino alla fine del 2015. Potrà utilizzare il brand Nokia per i prossimi dieci anni per altri telefoni cellulari Nokia (feature phone).

 si legge sul documento riportato da @evleaks, citato da VentureBeat.

In base a quanto emerge dalla nuova documentazione, Nokia è un brand destinato alla scomparsa nei settori relativi ai dispositivi mobile. Entro i prossimi due anni la divisione Devices & Services del colosso europeo sarà rinominata probabilmente in Microsoft Mobile, con la sostituzione definitiva dei marchi attuali di Nokia che avverrà non oltre la fine del 2015 per mercato degli smartphone.

Nokia esisterà ancora in altri settori: le divisioni restate in mano al colosso europeo si occuperanno dei servizi Nokia Solutions & Networks, HERE e Advanced Technologies.

Dalla quando i cellulari sono diventati di pubblico consumo, Nokia ha sempre avuto uno spazio rilevante sugli scaffali degli store di elettronica, fra poco, saranno solo un ricordo nostalgico di un tempo che fu, una possibilità mancata per il brand finlandese e per il colosso di Washington di rilanciare un marchio storico.
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