lunedì 28 luglio 2014

Buone Vacanze da Tecnodiary2

Continuate a seguirci sui Twitter durante tutta l'estate! Il mondo della tecnologia non dorme mai!

Leggi l'intero articolo

sabato 26 luglio 2014

The Big Bang Theory gioca una nuova carta

Per non urtare la sensibilità dei fan della serie, preferiamo segnalarvi che l'articolo si basa su una sorta di spoiler, basato su uno dei personaggi centrali.


Il cast dei futuri episodi di The Big Bang Theory, subirà una variazione. Non sappiamo ancora, però, quale sarà il risultato empatico del pubblico nerd e non solo.

La notizia, riguarda appunto uno dei protagonisti storici della serie, ovvero la bella Penny. Se, come me, siete fan della serie, conoscerete il personaggio un po' borderline, impersonato dall'attrice Kaley Christine Cuoco-Sweeting, sempre impegnata nella ricerca di sfondare nel mondo dello del cinema.

Ebbene, dopo sette anni passati a tentare di diventare un'attrice famosa, Penny ha al suo attivo solo una tristissima pubblicità di una crema per le emorroidi. I produttori e gli sceneggiatori della serie hanno quindi deciso che è arrivato il tempo della maturità per la strampalata (beh, non come i suoi amici... ma a suo modo lo è anche lei) bionda.

Ebbene, Penny sta per diventare una rappresentante farmaceutica. Infatti, si ricaverà un ruolo da informatrice scientifica nell'azienda della sua amica, e prima fan, Bernadette. La sua carriera artistica non decolla e l'età avanza. E' ora tempo di prendere una decisione: attrice fallita o donna in carriera?

Secondo quanto spiegato dallo sceneggiatore e regista della serie Chuck Lorre:

Comincia a fare un po' di soldi e questo creerà alcuni squilibri nella loro relazione (quella tra Penny e Leonard, NdR) e questo creerà dei cambiamenti nelle dinamiche di potere.

Anche questa sarà l'occasione per giungere a situazioni assurde ed imbarazzanti. Quale occasione migliore per farsi due risate in loro compagnia?

Nessun esodo quindi, solo un piccolo cambiamento di rotta.
Leggi l'intero articolo

Wet Computing: lo storage allo stato liquido

Foto, password, documenti e dati di ogni tipo. Ogni dispositivo smartphone, tablet e computer, porta con sé l'implicita conseguenza di dover salvare un numero, sempre più consistente, di dati.


Dato che la compressione dei file in alta qualità è ancora fuori portata (o forse non interessa alle case produttrici), i ricercatori di tutto il mondo si stanno impegnando, per studiare nuovi modi di immagazzinare informazioni binarie.

Qualcuno sembra aver dato una risposta a questo vuoto tecnologico, che da anni procede a passi lenti e alquanto costosi per i consumatori. A quanto pare ci ha pensato un pool di ricercatori, costituiti da una rappresentanza dell'Università del Mitchigan e di New York, il quale ha dimostrato come nanoparticelle di plastica, depositate in un liquido, possano formare cluster a un bit: un blocco essenziale per lo storage.

La tecnica, denominata "wet computing", imita altri processi biologici trovati in natura, come il DNA nelle cellule vive.


I 30 secondi di video sopra riportati, mostrano le particelle in azione.

Non finisce qui, infatti, i ricercatori spiegano come la portata di questa scoperta possa andare ben oltre:

Configurazioni uniche di particelle creano stati differenti. Un cluster di memoria di quattro particelle connesse ad una sfera centrale può avere due stati, come un bit convenzionale. Ma un cluster da 12 particelle, per esempio, può avere 8 milioni di stati unici, arrivando a 2,86 byte di dati o a 22,9 bit convenzionali. Il gruppo di simulazione ha mostrato che un cucchiaio di soluzione che contenga un cluster da 12 nanoparticelle può arrivare a immagazzinare 1TB di dati.

Uno storage su una scala del genere sembra poco realistico, al momento, per non parlare dei costi.

Ma Sharon Glotzer, un professore di ingegneria chimica dell'Università del Mitchigan, ha dichiarato che si assicureranno di usare materiali economici che possano leggere e scrivere informazioni.

Non illudetevi, la possibilità di avere decine e decine di terabyte di storage in una bottiglia d'acqua, è assai futurista. E' ancora tutto in fase embrionale e, probabilmente, verrà implementato prima nel mondo della robotica, ma se saprete attendere, sicuramente vi ritroverete fra le mani uno smartphone con capienza abnorme, dotato di un'unità di storage allo stato liquido.
Leggi l'intero articolo

giovedì 24 luglio 2014

Putin firma la legge anti Facebook e Twitter

Dopo le strategie governative adottate dal governo russo nei mesi scorsi, il Primo Ministro russo ha compiuto l'ennesimo passo, nella direzione della chiusura nei confronti degli Stati Uniti.


Le nuove norme daranno il diritto alle autorità del Paese di bloccare tutti i servizi non conformi, e fanno pensare ad una potenziale ondata di censura su internet nel prossimo futuro.

Vladimir Putin, infatti, ha siglato la controversa legge che vieta il salvataggio di dati appartenenti a utenti russi in server che non risiedono nello stesso stato. Questo significa che il Cremlino chiude le porte in faccia a Facebook, Twitter, e ai social network non locali.

Il tutto ha avuto luogo martedì, quando è passata una legge che bandisce le proteste di strada reiterate nel corso del tempo, mentre mercoledì il Roskomnadzor, regolatore per le telecomunicazioni russo, ha chiarito un requisito per una normativa anti-anonimato per i blogger nazionali, che hanno l'obbligo di rivelare la propria identità su richiesta del governo. La legge entrerà in vigore in agosto.

Il governo russo non è mai stato particolarmente indulgente con i blog nazionali, soprattutto quelli dei cittadini dissidenti. Sono passati solamente pochi mesi dalla chiusura della pagina web di Alexei Navalny, e non sono sicuramente pochi i casi analoghi, come abbiamo scritto sul nostro blog. La nuova legge sullo storage dei dati personali è stata apparentemente sviluppata per proteggere i cittadini russi dagli hacker stranieri, con la promessa di migliorare le misure di sicurezza dei data-center nazionali e crittografare tutti i dati dei cittadini con algoritmi noti solamente alla Russia.

Tuttavia, le finalità potenzialmente distruttive di una legge simile sono sotto gli occhi di tutti. Il Roskomnadzor (ovvero l'agenzia incaricata di stilare la lista nera) avrà il potere di applicare le ordinanze del tribunale per "limitare l'accesso alle informazioni che vengono gestite contravvenendo alla legge sulla protezione dei dati personali".

Ecco perché, aziende come Facebook o Twitter che non dispongono di server in Russia, potrebbero venire chiamate in tribunale per rispondere di queste incontrovertibili accuse.

Questa "guerra elettronica" potrebbe non finire mai. La Russia fa terra bruciata attorno a sé, ma chi ci perderà veramente? Chi darà voce ai cittadini sovietici? Ops, lapsus freudiano.
Leggi l'intero articolo

mercoledì 23 luglio 2014

Selfie-Phone, Nexus e WP nel futuro HTC

Nonostante HTC sia riuscita a raggiungere il break even, e sia tornata ad un bilancio in positivo, nell'arco del secondo trimestre del 2014 (dopo oltre un anno), la Società taiwanese è in cerca di nuovi investimenti, di nuovi progetti ambiziosi e appetibili ai numerosi utenti, desiderosi di gadget elettronici.


Nonostante l'esploit della Società taiwanese, tornata in positivo solamente nel secondo trimestre 2014 (dopo oltre un anno), da imputare soprattutto al successo del proprio top di gamma One (M8), i risultati complessivi della società restano ancora incerti. Sono infatti numerosi i tentativi fallimentari, intrapresi per cercare di uscire dal periodo di crisi che perdura ormai da anni.

Ora è in cerca del cambio di passo, soprattutto alla luce del fatto che, la concorrenza non è rimasta certo a guardare e ha, da qualche tempo, sondato il terreno fertile del mondo dei dispositivi indossabili. Come agire?

La compagnia di Taiwan ci ha provato in passato con il rilascio di top di gamma di qualità e con dispositivi di fascia media, attraverso strategie di mercato ben mirate. Secondo il Taipei Times, tuttavia, HTC potrebbe cambiare registro per il futuro, annunciando nei prossimi sei mesi una serie di dispositivi diversi in modo da capire l'accoglienza del mercato su fronti diversi.

Fra questi, troviamo uno smartphone noto con il nome in codice "Eye", della nuova categoria dei "selfie phone", con una fotocamera frontale di particolare pregio. Il device sarà annunciato negli Stati Uniti entro la fine dell'anno, presumibilmente nel quarto trimestre. Per il prossimo futuro è invece atteso HTC Butterfly 2, che ha già ottenuto varie certificazioni, e Nexus 9, conosciuto come Flounder e Volantis, di cui anche @evleaks ha più volte parlato di rilascio imminente.

HTC potrebbe entrare presto anche nel mercato dei Windows Phone 8, con un dispositivo che secondo il media asiatico potrebbe venire chiamato HTC W8. Lo smartphone potrebbe essere una versione di One M8 con il sistema operativo mobile di Microsoft, con lo stesso hardware e lo stesso design in alluminio unibody del top di gamma.

HTC W8 (non sappiamo se verrà confermato questo nome, un po' ambiguo se letto in lingua inglese) potrebbe essere annunciato ufficialmente nei prossimi mesi. Da HTC ci si attende anche uno smartwatch con Android Wear. Al momento non è semplice riuscire a prevedere il successo dei diversi terminali citati dal Taipei Times, e come questi possano riuscire ad alimentare i profitti del produttore.

Puntare su nuove famiglie di prodotti è naturalmente un azzardo, mentre cercare di creare seri profitti con un dispositivo Nexus è sostanzialmente impossibile (già la prima esperienza è servita da lezione).

La mancanza di un eventuale One M8 Prime, il diretto concorrente dell'altrettanto misterioso Galaxy S5 Prime, è un solo una dimenticanza della testata giornalistica di Taipei, oppure indica l'intenzione di HTC, di rinunciare a certe fette di mercato, già occupate dalle rivali di sempre?
Leggi l'intero articolo

martedì 22 luglio 2014

MIT: corrente elettrica dall'unimità

Lo scorso anno un gruppo di ricercatori del Massachussets Institute of Technology ha compiuto una scoperta a dir poco stupefacente, non solo per la portata della scoperta in se, bensì per l'implicazione tecnologica nel nostro futuro.


Il ricercatore Miljkovic e il professore associato di ingegneria meccanica Evelyn Wang, infatti, avrebbero scoperto che, le gocce d'acqua che saltano via da una superficie superidrofobica durante un processo di condensazione, possono acquisire una piccola carica elettrica.

Non solo, avrebbero anche dimostrato che questo processo può generare una piccola corrente elettrica che può essere sfruttata per l'alimentazione di dispositivi elettronici. Si tratta di un approccio che potrebbe consentire di ricaricare dispositivi elettronici sfruttando l'umidità dell'aria e, come beneficio collaterale, di produrre acqua pulita.

Il dispositivo potrebbe essere di realizzazione relativamente semplice. I primi test sono stati effettuati usando placche in rame, ma il ricercatore sostiene che qualsiasi metallo conduttore può funzionare, incluso l'alluminio, sicuramente più economico del rame.

Nelle prime fasi della sperimentazione, il dispositivo è riuscito a generare appena 15 picowatt (10−12 watt) per centimetro quadrato della piastra metallica, ma Miljkovic ha dichiarato che il processo può essere messo a punto per riuscire a generare almeno 1 microwatt (10−6 watt) per centimetro quadrato, comparabile a quanto possibile ottenere con altri sistemi di recupero dell'energia termica o cinetica e sufficiente per l'alimentazione di dispositivi elettronici in zone remote.

A titolo di riferimento i ricercatori calcolano che con 1 microwatt per centimetro quadrato, un cubo di 50 centimetri di lato (indicativamente le dimensioni di un frigorifero portatile da campeggio) potrebbe ricaricare un telefono cellulare in circa 12 ore.

Limiti della tecnologia:

Il sistema, dal momento che il processo si basa sul fenomeno della condensazione, si rende necessario un ambiente umido così come un elemento dalla temperatura più bassa rispetto a quella dell'area circostante.

Come tutte le migliori scoperte, anche questa è frutto di casualità, una sorta di scoperta collaterale, infatti, i due ricercatori erano al lavoro lo scorso anno nel tentativo di sviluppare una superficie con migliori caratteristiche di trasferimento del calore, che potesse essere usata per applicazioni di dissipazione termica. 

Nelle loro sperimentazioni scoprirono che quando le gocce d'acqua presenti su una superficie superidrofobica andavano a unirsi per formare gocce di maggiori dimensioni, convertono l'energia di superficie in energia cinetica, la quale talvolta porta le gocce a saltar via spontaneamente dalla superficie, migliorando quindi il trasferimento di calore del 30% circa rispetto ad altre tecniche.


Solo in un secondo momento, i ricercatori hanno scoperto che, in questo processo, le gocce acquistano una piccola carica elettrica. Questa caratteristica consente di migliorare il trasferimento di calore poiché diviene possibile agevolare il salto della gocciolina impiegando una seconda placca di metallo con carica opposta, così da attrarre le gocce d'acqua.

Dotando la seconda placca di una superficie idrofila, è possibile sfruttare questo fenomeno per generare una corrente elettrica, in virtù del trasporto di carica da una piastra di metallo all'altra. E' quindi possibile alimentare un circuito esterno collegando ad esso le due piastre.

All'atto pratico questo dispositivo potrebbe essere realizzato con alette di metallo poste molto vicine tra loro, senza però entrare in contatto, similmente ad un dissipatore di calore. Il sistema opererebbe in maniera passiva, senza parti in movimento.

L'alimentazione di piccoli dispositivi elettronici, come ad esempio sensori per il monitoraggio di condizioni ambientali, può avvenire con piccole quantità di corrente elettrica. Ovunque si formi della rugiada potrebbe essere un sito idoneo per generare piccole quantità di energia per poche ore durante la mattinata.

Si tratta di un approccio completamente nuovo per recuperare energia e che può essere utilizzato per l'alimentazione di dispositivi MEMS o piccoli dispositivi elettronici. Recuperare energia elettrica dalla condensa è un'idea inedita, dal momento che il fenomeno della condensazione è sfruttato principalmente per la gestione del calore.
Leggi l'intero articolo

lunedì 21 luglio 2014

BitLicense: da New York la ricetta per regolamentare i BitCoin

BitCoin sì o BitCoin no? Il dibattito continua e, mentre la moralità di certe persone sembra essere stata toccata, per via della potenziale implementazione nelle logiche losche del deep web, a New York le cose potrebbero cambiare.


Infatti, a circa un anno dall'avvio di un'inchiesta, il dipartimento dei servizi finanziari della Grande Mela (Department of Financial Services) ha rilasciato una copia della documentazione che include la proposta di "codici, norme e regolamentazioni" per le compagnie che comprano e vendono BitCoin e altre valute virtuali.

Dopo l'introduzione del primo bancomat per BitCoin nello stato del Canada, la prospettiva di prosperità si era interrotta più e più volte: dapprima l'attacco cracker ed il conseguente furto di Bitcoin per un valore di 1 milione di $ e successivamente, all'inizio di quest'anno, il fallimento di Mt Gox (la BitCoin exchange con sede a Tokyo). Ricordiamo che la compagnia nipponica è collassata a causa delle mancate coperture per tutelare i depositi dei clienti.
Ormai, tutto questo ce lo siamo lasciati alle spalle (o almeno si spera), e l'ascesa del conio virtuale sembra inarrestabile, infatti, alcuni analisti hanno pronosticato un incremento continuo della moneta virtuale. Destinazione? 50.000 $ per Bitcoin! O almeno così pare. 

Ecco perché, a New York hanno pensato bene di non ostacolare il suo percorso naturale, rischiando così di esserne travolti, ma hanno cercato di fruttarne a pieno le potenzialità. Da qui la proposta di una serie di requisiti per una speciale "BitLicense", che sarà pubblicata il 23 luglio nel Registro dello Stato di New York.

Le regole proposte si applicano a quelle realtà che vendono, comprano, trasferiscono, conservano o mantengono la custodia o il controllo dei BitCoin dei clienti, così come le compagnie che cambiano valuta reale in valuta virtuale su mandato dei commercianti. Le regole si applicano inoltre alle compagnie che convertono valute virtuali in altri tipi di valute virtuali, così come a coloro i quali emettono valuta virtuale. Non sono interessati da queste regolamentazioni i miner, ovvero quelle realtà che si occupano dell'elaborazione dati.

La proposta prevede che le compagnie intenzionate ad ottenere una BitLicense debbano mantenere una riserva di valuta virtuale pari, e della stessa tipologia, a quanto depositato dai clienti. E' poi necessario mantenere un registro dei nomi e dei recapiti dei clienti, esplicitare quali siano i rischi derivanti dall'uso della valuta virtuale e segnalare episodi che facciano nascere il sospetto di truffe e frodi. Tra gli altri obblighi è inoltre necessario nominare un ufficio di compliance e un security officer.

Il pubblico potrà consultare la documentazione e avrà 45 giorni di tempo per proporre osservazioni e modifiche a loro volta, con le regole che entreranno in vigore durante il mese di settembre.

Benjamin Lawsky, superintendent del Department of Financial Services, ha osservato:

Riteniamo che il continuo riscontro da parte del pubblico sarà importante per finalizzare questo quadro normativo. Non vediamo l'ora di iniziare a revisionare le considerazioni del pubblico sulle nostre proposte.

Lo stato più alla moda degli Stati Uniti può vantare un solido impianto normativo in ambito finanziario, per via della presenza a New York della sede della borsa e delle principali realtà finanziarie della nazione. Le posizioni del DFS di norma aiutano a delineare la tendenza della politica finanziaria anche in altri Stati.

La reazione delle varie realtà che operano in BitCoin è stata nel complesso positiva. Charles Cascarilla, CEO di itBit, una compagnia di trading bitcoin di Singapore, che si è recentemente spostata a New York, ha commentato:

Abbiamo adottato ogni possibile misura per assicurare che itBit protegga i consumatori, prevenga gli abusi e offra sicurezza. La proposta di una BitLicense si allinea con i nostri standard e pratiche attuali e abbiamo tutte le intenzioni di rispettare le linee guida definitive.

BitPay, compagnia che supporta i commercianti ad accettare BitCoin, ha invece espresso qualche preoccupazione per i requisiti di sicurezza, così come per l'obbligo di notificare al DFS le transazioni che superano i 10 mila dollari in un giorno.
Leggi l'intero articolo

sabato 19 luglio 2014

Operazione Eye Moon: la Procura della Repubblica di Roma inibisce l'accesso a 25 domini internet, tra cui Mega.co.nz



Apprendiamo, attraverso il blog dell'Avvocato Fulvio Sarzana, che le tribolazioni di Kim, stanno per ricominciare, sono infatti emersi nuovi dettagli sull'operazione portata avanti dalla Procura della Repubblica di Roma, depositata lo scorso 14 Luglio e incentrata sul sequestro preventivo di 25 domini internazionali per violazione della legge sul diritto d'autore.

Alla base del sequestro la segnalazione di un piccolo distributore indipendente italiano, che ha notato la presenza in rete di copie pirata dei film "the congress" e "fruitvale station" da lui distribuiti e che non sono ancora presenti nel mercato.

L'operazione, indicata con il nome di "EyeMoon", vede coinvolti numerosi domini noti nel mondo del cyberlocking tra i quali:

    • cineblog01.net;
    • cineblog01.tv;
    • ddlstorage.com;
    • divxstage.eu;
    • easybytez.com;
    • filminstreaming.eu;
    • filmstream.info;
    • firedrive.com;
    • movshare.sx;
    • nowdownload.ag;
    • nowdownload.sx;
    • nowvideo.sx;
    • piratestreaming.net;
    • primeshare.tv;
    • putlocker.com;
    • rapidvideo.tv;
    • sockshare.com;
    • uploadable.ch;
    • uploadinc.com;
    • video.tt;
    • videopremium.me,
    • youwatch.org

Oltre a quelli elencati sono due i domini che spiccano tra tutti: il primo è Mail.ru (il più visitato sito russo e vera e propria community digitale per quel mercato) e il secondo è Mega.co.nz (servizio di cloud storage sviluppato da Kim Dotcom, ma se ci seguite, già lo conoscerete).

I server sui quali operano questi domini non sono in ogni caso stati fisicamente spenti, non trovandosi in territorio italiano. Quello che l'operazione ha fatto è stata bloccarne l'accesso a livello di indirizzo IP richiedendo in questo l'intervento dei vari provider internet nazionali. Usando DNS server non nazionali il blocco, come sempre accade in questi casi, viene facilmente arginato.

L'operazione in atto fa emergere nuovi dubbi su come si voglia operare per lottare contro la pirateria. Se quest'ultima porta infatti al blocco all'accesso di siti e servizi che non hanno direttamente, o non solo, a che fare con servizi di pirateria informatica se ne ricava un disservizio per tutti gli utilizzatori, anche per coloro che nulla hanno a che vedere con la pirateria.

L'esempio concreto è quello di Mega.co.nz: in questo sito di cloud storage è difficile non pensare che non fossero presenti anche file legati a contenuti piratati ma contestualmente questo è un servizio molto utilizzato per fini assolutamente leciti proprio per la facilità con la quale dei file anche di elevate dimensioni possono venir caricati e distribuiti a più utenti.

La strada seguita dalle autorità italiane sembra alquanto controversa, una sorta di esplosivo nello stagno: sicuramente si colpiscono gli obiettivi prefissati, ma si rischia di creare danni alla collettività inerme.
Leggi l'intero articolo

venerdì 18 luglio 2014

Telespazio incontra il favore dei supermercati

Come avete intuito dal titolo, oggi parleremo di Supermercati, ovviamente lo faremo alla nostra maniera, combinando la tecnologia alla quotidianità.


Cosa succede, infatti, quando le catene dei supermarket si guardano attorno, in cerca di nuove fonti di informazioni, per sviluppare le proprie reti e incontrare sempre più i favori della clientela? E se lo facessero rivolgendo lo sguardo verso il cielo? Chi risponderebbe mai ad una tale esigenza?

Se pensate che la risposta sia "nessuno", beh, vi sbagliate di grosso. La risposta sembra averla trovata Telespazio, ovvero la joint-venture tra Finmeccanica (67%) e Thales (multinazionale di elettronica specializzata nei settori dell'aerospazio, difesa, e IT) (33%), uno tra i principali operatori al mondo nel campo dei servizi satellitari.

Se finora questo tipo di risorse venivano riservate ad enti governativi o all'intelligence nazionale, ora il mercato si sta estendendo alle realtà più quotidiane e, cosa c'è di più naturale dell'esigenza di acquistare beni di prima necessità? La risposta è una e una sola: "le supermarché".

A dire il vero, non è il primo tentativo di intersecare due realtà apparentemente così distanti, infatti da qualche tempo, miliardi di telespettatori e utenti di internet nel mondo ne stanno usufruendo (o stanno passivamente subendo la cosa, chi può dirlo!).

Poco fa ho utilizzato il termine francese, non per nulla, infatti, una delle parti in causa, ossia Thale, è una Società francese. Quest'ultima, insieme a Finmeccanica, dall'inizio del 2014 metteranno a disposizione del servizio di Intermarché, i propri satelliti. Attraverso la sua controllata francese, sta attuando una rete satellitare che collega 3551 punti vendita in tutta Europa.

Come funziona? 
Ogni notte, milioni di dati, tra cui i prezzi dei prodotti, passano attraverso una linea dedicata tra Bondoufle (Ile-de-France) e Fucino in Abruzzo (Italia), dove si trova il primo centro di teletrasporto commerciale globale guidato da Telespazio. Da lì, i dati criptati vengono trasmessi ad un satellite di proprietà di Eutelsat, partner di di Telespazio. Il satellite poi informa tutti i negozi Intermarché, inviando i propri dati tramite antenne paraboliche poste sul tetto.

Il segnale viene anche usato per trattare altri contenuti, come ordini, assegni e transazioni bancarie con carte di credito e persino la diffusione dei messaggi radio interni. Ogni mattina gli store manager possono prendere conoscenza di tutti i contenuti.

"Funziona come la ritrasmissione di una trasmissione pay-TV. Ogni capo di negozio può accedere a questo servizio grazie a un abbonamento di 50 euro al mese", afferma Jean-Marc Gardin (amministratore delegato di Telespazio), durante un'intervista al quotidiano Le Figaro. 

Dopo aver convinto le aziende di fornitura di acqua e di energia elettrica, Telespazio France vuole decollare nella distribuzione alimentare.

La grande forza del satellite è che è in grado di comunicare simultaneamente un gran numero di dati a tutti i membri di una rete

spiega l'azienda. 

E il supermercato online Leclerc Drive ha già espresso interesse per il servizio via satellite. Ma, presumibilmente, non sarà l'unico a voler adottare tale tecnologia.
Leggi l'intero articolo

giovedì 17 luglio 2014

La privacy nazionale è compromessa! Non solo dicerie, ora sembra ufficiale.

Cosa rappresenta la privacy ai tempi di Facebook, Twitter e dei moderni mezzi di comunicazione (email, sms, telefonate, chat)?


Niente facile ironia, pensiamo più che altro alle notizie circolate negli ultimi giorni che riguardano gli Stati Uniti o la Russia. Perché non citare anche l'ultimo esploit tedesco?

Lo scandalo NSA ha forse aperto gli occhi, a chi ancora non se ne era accorto, della vulnerabilità della nostra privacy e di come la nostra vita, sempre più social, sia soggetta a continui controlli, da parte delle autorità competenti, ma soprattutto da parte degli organi che controllano i flussi di informazioni.  

A tal proposito, il governo tedesco avrebbe deciso di passare a soluzioni drastiche: abbandonare i computer, tornando così a qualcosa di più sicuro, ovvero le macchine da scrivere. Una sorta di ritorno alla meccanica, a sfavore dell'elettronica. Ciò evidentemente vorrà dire anche più scartoffie per il governo teutonico.

E in Italia?

I servizi segreti (Aisi e Aise), costituiti per la nostra difesa, purtroppo non sono più in grado di proteggere i dati da chi volesse entrarne in possesso.

Su Repubblica Marco Mensurati e Fabio Tonacci, nell’articolo "«A rischio email e telefonate degli italiani» il dossier segreto sul tavolo del governo", citano un rapporto del Garante per la Privacy che evidenzia quanto sia indifeso il nostro sistema di telecomunicazioni, che, da quando anche le telefonate sono state digitalizzate, è ancora più vulnerabile.

Mensurati e Tonacci sentono anche Giuliano Tavaroli, ex capo della sicurezza di Pirelli e Telecom coinvolto nello scandalo Telecom-Sismi, che dice senza troppi giri di parole: il problema non è se ci spiano, ma chi è che ci spia.

C’è un enorme buco nero nella sicurezza delle telecomunicazioni italiane. Una falla talmente ampia da mettere a disposizione di chiunque volesse attrezzarsi telefonate, sms, email, chat, contenuti postati sui social network. Tutto il traffico online del Paese, insomma. Non si tratta di un allarme generico ma di un pericolo più che concreto, tanto che negli ambienti dello spionaggio internazionale si dà per scontato che l’Italia sia da anni «interamente controllata». Da Nord a Sud. Quello che non si sa, però, è da chi.

A denunciare questo buco è una relazione riservata del Dipartimento attività ispettive dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali, inviata al presidente del Consiglio dei ministri, al ministro per lo Sviluppo economico, a quello dell'Interno e al sottosegretario con delega all'Intelligence Marco Minniti.

Tre pagine che riassumono un rapporto lunghissimo, stilato dagli ingegneri informatici del Garante tra aprile e maggio dopo lo scandalo mondiale del Datagate del 2013. E nonostante le rassicurazioni del governo italiano, che in quell'occasione, per bocca dello stesso Minniti, aveva detto che «la tutela della privacy delle comunicazioni interne in Italia è garantita con ragionevole certezza».

Tutto ruota intorno agli Internet eXchange Point (IXP) e ai sistemi di sicurezza, insufficienti, che li dovrebbero proteggere. Gli Ixp sono delle infrastrutture chiave per il funzionamento di Internet.

Di fatto sono dei luoghi fisici in cui convergono tutti i cavi che trasportano i dati degli utenti dei vari Internet Service Provider (Telecom, Fastweb, H3G, ecc. ecc.). In questi luoghi, i dati vengono letti, elaborati e dunque smistati nella Rete.

Per fare un esempio: le informazioni di navigazione di un utente qualsiasi che da rete Fastweb si colleghi con un sito il cui server è ospitato da Telecom, passa necessariamente per uno di questi Ixp. In Italia ce ne sono nove, ma tre sono quelli fondamentali: uno a Milano (il “Mix”), uno a Torino (il “Top-IX) e uno a Roma (il “NaMex”).

Tali apparati, scrivono gli ispettori del Garante, dispongono di funzionalità tecniche che possono consentire di replicare, in tempo reale, il traffico in transito dirottando il flusso replicato verso un'altra porta (port mirroring)

Nel corso dei controlli questa funzione non era attivata, specificano gli ispettori, aggiungendo però che se qualcuno volesse esaminare il traffico in transito potrebbe farlo «con una certa facilità, attivando la funzione di port mirroring e poi utilizzando appositi strumenti di analisi». Sarebbe dunque un gioco da ragazzi duplicare il traffico degli utenti, dirottarlo altrove su grossi database e poi con calma analizzarlo. Certo occorrerebbe prima entrare dentro queste strutture ma, è proprio questo il punto, la cosa appare tutt'altro che impresa ardua.

«Abbiamo una certificazione di sicurezza Iso27001», spiega l'ingegner Michele Goretti, direttore dell'Ixp di Roma. «E anche l'ispezione del Garante non ha fatto emergere problemi».

In realtà non deve essere andata proprio in questi termini se nella relazione c'è scritto che sono emerse «una serie di gravi criticità sulle misure di sicurezza logiche e fisiche concretamente adottate da queste società/consorzi nella gestione dei loro sistemi».

La cosa merita la massima attenzione, continuano gli ispettori, in quanto si tratta di strutture nevralgiche nel sistema di comunicazioni elettroniche del Paese poiché attraverso questi nodi di interscambio passano enormi flussi di traffico relativo alle comunicazioni degli abbonati e utenti (anche pubbliche amministrazioni e imprese) dei principali operatori nazionali.

Da una decina di anni anche le chiamate vocali (sia da fisso sia da mobile) vengono digitalizzate, sono cioè trasmesse via web.

Per tanto un inadeguato livello di sicurezza può riflettersi negativamente sia sui diritti dei singoli cittadini, pregiudicando la riservatezza delle loro comunicazioni e la protezione dei loro dati personali, sia gli interessi istituzionali ed economici degli enti e delle imprese.

Il rischio, secondo Goretti, è molto ridotto: «In linea teorica la possibilità di duplicare i dati c’è. In pratica sarebbe molto complesso farlo e i risultati sarebbero molto parziali: bisognerebbe duplicare i dati di tutti gli Ixp del paese». Cosa complessa ma certo non impossibile, visto che gli hardware ospitati in queste strutture sono di varia provenienza: ci sono, ad esempio, router a marchio Huawei e Cisco, due multinazionali non estranee alle recenti polemiche sullo spionaggio.

La manutenzione delle macchine può essere fatta anche da remoto e volendo non sarebbe complicato avviare funzionalità di mirroring e dirottare il traffico copiato. Tra i 132 operatori connessi al "Mix" di Milano ci sono gli americani At&T, Amazon, Facebook, Google, Microsoft, Verizon.

Giuliano Tavaroli, ex responsabile della sicurezza di Telecom e del Gruppo Pirelli, la vede in maniera a dir poco laica:

Il problema non è se i dati vengano o meno copiati. Questo in fondo starebbe nelle cose, e al massimo bisognerebbe capire chi è che intercetta e perché, visto che in Italia i nostri servizi segreti non dispongono dei mezzi per immagazzinare e analizzare moli significative di dati. Il vero problema è che, considerato il livello scarso di sicurezza di queste strutture, se fossero intercettate in Italia, oggi, non ce ne riusciremmo nemmeno ad accorgere.

Oltre che di sicurezza e di privacy, gli ispettori del Garante ne fanno anche una decisiva questione di regole:

Per svolgere la propria attività gli Ixp non hanno la necessità di trattare i dati personali degli abbonati o degli utenti e quindi [...] non assumono la qualifica di titolare del trattamento, in relazione alla quale il Garante potrebbe prescrivere loro direttamente le misure ritenute necessarie o opportune per rendere il trattamento dei dati conforme alle disposizioni di legge

Come a dire,sono liberi di fare ciò che vogliono, senza essere controllati.

Se all'apertura del post, vi stavate facendo una risata, ora, forse, il vostro umore avrà assunto tinte più fosche. La nostra privacy dovrebbe essere garantire da enti governativi, che non hanno le risorse per operare in maniera efficiente ed efficace?

Perché le fonti di informazioni classiche, preferiscono parlare di polita farlocca, di gossip insulso e di sport, invece che mettere in guardia i poveri utenti inermi?
Leggi l'intero articolo

mercoledì 16 luglio 2014

Google e Novartis al lavoro sulle lenti a contatto smart. Accordo raggiunto

Nel gennaio scorso, la rete aveva lasciato trapelare alcune indiscrezioni su un ambizioso progetto targato Big G.


Si era parlato dell'introduzione delle fantomatiche lenti a contatto smart di Google. Se allora la notizia era parsa quasi visionaria, adesso il panorama sembra cambiato, infatti, il gigante svizzero dell'industria farmaceutica Novartis ha deciso di occuparsi della commercializzazione.

Le due aziende hanno annunciato che Novartis userà in licenza la tecnologia di Google per creare speciali lenti a contatto per i pazienti diabetici.

I termini dell'accordo tra le società, confermati in una nota di Novartis, non sono stati specificati nei dettagli ma la casa farmaceutica ha reso noto che la sua divisione ottica Alcon lavorerà con un team di Google per sviluppare una lente a contatto dotata di microchip ed elettronica miniaturizzata. L'obiettivo è di sviluppare una lente 'smart' che possa fornire una misurazione continua dei livelli di glucosio nel sangue nei pazienti diabetici, attraverso la misurazione del fluido lacrimale. 

Una volta raccolti, i dati saranno trasmessi wireless ad un dispositivo mobile che permetterà all'utente di tenere sotto controllo la propria situazione facilmente.

Con il progetto delle lenti smart, ci si augura di aiutare i circa 382 milioni di diabetici nel mondo, che hanno bisogno di mantenere sotto stretto controllo il livello di zucchero nel sangue.

Novartis, però, sembra non interessata al semplice monitoraggio del glucosio. Pare abbia in mente di usare la tecnologia per curare la presbiopia delle persone che non riescono più a leggere senza occhiali e sta anche valutando la possibilità di impiantare le lenti direttamente negli occhi.

La lente potrebbe, quindi, fungere da autofocus, contribuendo a ripristinare la messa a fuoco automatica naturale dell'occhio su oggetti vicini per i pazienti affetti da presbiopia.

Inoltre, studi di settore stimano che circa il 50% della popolazione dei Paesi sviluppati è presbite. Quindi, supponendo che le lenti a contatto possano essere utilizzate in tutte le fasce di età, il 50% delle applicazioni potrebbe essere effettuato a pazienti presbiti.

Questo per noi è un passo fondamentale per andare oltre i confini della tradizionale gestione delle malattie, a cominciare dagli occhi

ha dichiarato il Ceo di Novartis, Joseph Jimenez.


Finalmente le lenti smart saranno realtà, anche se per ora sono solo un prototipo e ci vorranno almeno cinque anni prima che possano arrivare alla vera e propria commercializzazione.

Nel frattempo, Google continua lo sviluppo delle proprie lenti smart all'interno della divisione segreta Google X, culla dei Google Glass e dei progetti di robotica e intelligenza artificiale di Mountain View.
Leggi l'intero articolo

martedì 15 luglio 2014

Microsoft Research sforna "Project Adam"

Ieri all'annuale Research Faculty Summit, Microsoft ha mostrato un progresso non indifferente nella sua tecnologia per l'Intelligenza Artificiale.


Di cosa si tratta? Durante l'evento, è stata presentata un'app, chiamata Project Adam, in grado di identificare tutto quello che la circonda, un po' come mostrato durante l'evento di presentazione organizzato da Amazon per il suo Fire Phone. 

Microsoft Research ha sviluppato una sorta di estensione delle facoltà di Cortana che, con questo upgrade, sarà in grado di vedere e riconoscere gli oggetti. L'app è ancora in fase di sviluppo, ma mostra già risultati davvero promettenti.

Secondo Microsoft, Adam sarebbe stata meticolosamente calibrata perché i ricercatori potessero imitare il cervello umano, creando un computer ad alte performance che costruisce e conserva dati su un sistema a larga scala di distribuzione che lavora come i processi neurali delle persone. Trishul Chilimbi e il suo team hanno sviluppato la rete neurale dell'app.

Ricerche recenti, affermano, si concentrano su Project Adam e la sua classificazione di oggetti, raccogliendo un massiccio database di 14 milioni di immagini dal web e da siti come Flickr, con 22.000 categorie generate dall'uso dei tag da parte degli utenti. Usando 30 volte meno macchine di altri sistemi, i dati sono stati utilizzati per ‘addestrare’ una rete neurale fatta da più di due miliardi di connessioni. Questa infrastruttura modulare è due volte più precisa e la sua capacità di riconoscere gli oggetti è 50 volte più veloce di altri sistemi.

La dimostrazione dell'app includeva l'identificazione della razza di tre cani davanti ad una platea. E l'esperimento è riuscito perfettamente.


La commercializzazione, evidentemente, è ancora lontana; nonostante ciò, però, pare proprio che Project Adam potrebbe presto rappresentare lo standard da seguire ed inseguire.

Lo step successivo potrebbe essere rappresentata dalle feature auspicate dai ricercatori Microsoft: potrebbero presto arrivare anche applicazioni in grado, per esempio, di fornire le indicazione di tutti i contenuti nutrizionali di un pasto da una semplice foto, o la corretta diagnosi di una malattia della pelle o, ancora, il riconoscimento di piante commestibili cresciute spontaneamente.

Il futuro ci è amico insomma. Speriamo che i principi cardine, che hanno alimentato questa ricerca, non vengano snaturati. E' evidente che, la strada percorsa da Microsoft non può essere che quella vincente.
Leggi l'intero articolo

lunedì 14 luglio 2014

Windows 9 fa capolino in rete: torna il "Menu Start"

Ormai non è un segreto: la trovata di Microsoft di eliminare il classico "Menù Start", con l'introduzione di Windows 8,  è stata tutt'altro che felice.


Chiusa questa parentesi, a Redmond sono pronti a rimediare. Alla conferenza Build tenuta nel mese di aprile, Microsoft annunciava e mostrava al pubblico il nuovo Menu Start, tradizionale nella forma, ma basato sui dettami stilistici della nuova interfaccia Modern UI, che sarebbe stato introdotto in una release successiva di Windows 8.

Secondo le ultime informazioni, tuttavia, la feature non sarà rilasciata prima di Windows 9 (nome in codice Threshold), di cui una prima versione preliminare sembrerebbe già disponibile negli intricati meandri del web. 

La Build è la 6.4.9788 che negli screenshot riporta ancora il nome Windows 8.1 Pro. Secondo Neowin, che ha pubblicato l'immagine e contattato "fonti interne", l'immagine è affidabile e le prime versioni del nuovo sistema operativo utilizzano ancora il precedente branding.



Stando alle parole della fonte "questa build si troverebbe già sul web, ma non è stata ancora divulgata pubblicamente". Considerando il primo flusso di immagini, è probabile che la stessa build farà capolino in un futuro non troppo lontano.

Come già detto in occasione del post del 2 luglio, la nuova versione di Windows potrebbe utilizzare interfacce diverse su PC che adottano form factor differenti. L'interfaccia Modern UI non verrà pertanto del tutto eliminata, ma verrà presentata esclusivamente sui dispositivi due-in-uno, che supporteranno lo switch fra le due interfacce in base alle eventuali periferiche di input collegate.
Leggi l'intero articolo

sabato 12 luglio 2014

L'equo compenso "miete le prime vittime"

Politica e tecnologia sembrano non andare d'accordo. Mai come in questi ultimi mesi, però, l'intervento statale in una questione delicata come quella inserita nell'ordine del giorno da SIAE e Ministero dei beni e delle attività culturali.


Ne avevamo parlato qualche giorno fa e ora, quasi tre settimane dopo, cerchiamo di fare il punto della situazione.

Basta dare un'occhiata ai social network per capire quanto controverso sia questo fantomatico #equocompenso (perché, questo è uno dei tag più quotati su Twitter). Il dibattito sul decreto Franceschini non si placa, anzi, dopo le motivazioni addotte alla propria ragion d'essere (al limite del ridicolo aggiungiamo noi, e non solo noi), l'ira degli utenti e delle categorie interessate (perché dovete sapere che coinvolge non solo i produttori di devices elettronici, bensì giornalisti e altre categorie). 

A difendere con maggior forza il decreto è proprio la SIAE, ma questo non stupisce, soprattutto alla luce del fatto che sia il primo organo a giovarne. 
In ogni caso sono due i "filoni difensivi" pro equo compenso:

  1. il primo è uno strillo a gran voce che invoca un adeguamento all'Europa, che nel legislatore è privata di 26 stati lasciando solo Francia e Germania, le uniche usate per fare una media e dimostrare di conseguenza che le tasse Bondi-Franceschini italiane sono non solo accettabili, ma legittime.
  2. il secondo, vero piedistallo della "difesa", riguarda un assurdo di microeconomia. Il decreto, questo è innegabile, prevede l'imposizione della tassa ai produttori, e il ministro Franceschini lo dice a chiare lettere nella nota ministeriale del 20 giugno 2014


GARANTITA LA CREATIVITÀ

"Con questo intervento si garantisce il diritto degli autori e degli artisti alla giusta remunerazione delle loro attività creative, senza gravare sui consumatori."



Sempre il Ministro, nel video dell'audizione del 7 maggio 2014, porta come esempio che "come sapete tutti, la gran parte dei tablet e degli smartphone sono a prezzo fisso", come ad esempio iPhone (sono parole sue, qui il link per sentire al minuto corretto le parole precise).

Eppure i fatti sono lì sotto gli occhi di tutti, tranne di chi non vuol vedere o è stato consigliato male.

Sembra un invito a nozze: andiamo sul sito Apple e simuliamo l'acquisto di un prodotto fra quelli soggetti all'equo compenso (uno smartphone iPhone) e di una borsa per PC, miracolosamente scampata al decreto, poiché permette di trasportare potenzialmente un dispositivo che potenzialmente può essere usato per fare una copia privata (si lo so, fa ridere anche solo a leggerlo).

iPhone 5s


IVA e oneri di legge inclusi. Non viene indicato quali siano questi oneri di legge, ma è facile intuirlo. Si potrebbe però pensare che vi possa essere qualcos'altro, magari legato a particolari politiche commerciali di Apple, allora vediamo un po' se scegliendo un articolo differente, non soggetto all'equo compenso, le cose cambiano.

Pochette per iPhone 5s e borsa per MacBook Pro


Nel prezzo finale, in questo caso, è inclusa solo l'IVA. Vi invitiamo a ripetere l'operazione, per verificare personalmente la controversia. Per questioni di tempo, abbiamo riportato un solo esempio, tratto dall'Apple Store, ma potrete verificare che anche tutti gli altri produttori fanno ricadere l'equo compenso sull'utente finale.

Scorrendo la pagina dell'acquisto fino in fondo, nelle famose righe in piccolo, si legge poi una cosa interessante:


Avete letto bene, si: "I prezzi comprendono la tassa sul copyright e il contributo per il riciclo, se applicabili", tutto è scritto, basta leggere.

C'è un'ultima possibilità: il nuovo decreto entra in vigore fra qualche giorno, motivo per cui saremmo davvero contenti di vedere che questi prezzi non cambieranno, confermandoci che il Ministero è davvero riuscito ad imporre ai produttori di accollarsi la tassa (che, ricordiamo, per un hard disk da 2TB esterno è di ben 20 Euro, considerando che ogni GB implica un contributo di € 0,01).

Per farvi un'idea più precisa delle implicazioni economiche che avrà questo contributo (a carico di produttori e importatori di prodotti elettronici che sono in grado di registrare o riprodurre contenuti protetti da diritto d'autore), potete consultare la gazzetta ufficiale all'articolo 2.

Non ci rimane che tenere monitorati i prezzi e illuderci che il Ministero abbia fatto un buon lavoro. C'è da augurarsi, almeno, che quest'ultimo abbia firmato l'accordo mal consigliato e, quindi, in buona fede.
Leggi l'intero articolo

venerdì 11 luglio 2014

Batterie agli ioni di litio 2.0

Se siete nostri lettori affezionati, sicuramente saprete che la nostra redazione ha molto a cuore il tema della tecnologia che sta alla base della realizzazione delle batterie.


Sebbene siamo consapevoli del fatto che la completa indipendenza dei devices, da una rete energetica classica, sia davvero troppo avveniristica, auspichiamo, da tempo, l'avvento di celle performanti che permettano a smartphone, tablet, notebook, robot casalinghi e perché no, anche automobili elettriche, di raggiungere autonomie sempre più decorose.

Per capirci, un notebook con autonomia di 2 ore è davvero anacronistico. Che senso può avere un dispositivo portatile, se lo devo collegare alla rete ogni due ore di lavoro? Ecco perché la soluzione scelta da Apple per i suoi Macbook (circa 9 ore di autonomia) sembra davvero più compatibile con le esigenze quotidiane di un utente medio. La combinazione di capacità estesa e ottimizzazione dei processi di carica/scarica, ha reso possibile un risultato davvero insperato, fino a qualche anno prima.

Il progresso non si ferma e, ciò che noi auspichiamo da molto tempo, potrebbe essere presto realtà.

I ricercatori del Bournes College of engineering presso l'University of California Riverside, infatti, hanno sviluppato una nuova batteria agli ioni di litio che supera di tre volte le prestazioni delle medesime batterie, attualmente disponibili.


Qual è l'"ingrediente segreto"? Pare possa essere la silice, che andrebbe a costituire l'anodo della cella.

L'idea è venuta a Zachary Favors (studente del Bournes College) che, durante una passeggiata sulla spiaggia, avrebbe realizzato come la sabbia (composta da  fosse composta sostanzialmente da quarzo), un materiale che risulta essere particolarmente promettente per lo sviluppo di batterie ad alte prestazioni.


La ricerca di Favors si è orientata verso il miglioramento delle caratteristiche dell'anodo, il polo negativo di una batteria, che viene comunemente realizzato impiegando la grafite. Questo materiale però è ormai arrivato al limite delle sue possibilità e non è più in grado di sostenere quelle esigenze di densità di carica e di energia che oggi e in futuro si riveleranno indispensabili per l'evoluzione del panorama elettronico.

Le attività di ricerca nel campo delle batterie si stanno muovendo su una strada che prevede l'impiego di silicio su nanoscala, che però risulta difficile da produrre in grandi quantità e può degradarsi velocemente. E' a questo punto che entra in gioco il quarzo, che altro non è che diossido di silicio.


Favors si è procurato della sabbia ad alta concentrazione di quarzo, che è stata sottoposta dapprima ad una lavorazione per portarne la granulometria nell'ordine dei nanometri ed in seguito ad una serie di processi di purificazione che hanno trasformato il suo colore dal marrone ad un bianco candido. Quanto ottenuto è risultato simile, per colore e aspetto, allo zucchero a velo.

La polvere di quarzo purificata è stata sottoposta ad un ulteriore processo: dapprima miscelata con sale e magnesio (presenti disciolti in grandi quantità nell'acqua marina) e quindi riscaldata. Il sale ha assorbito il calore, permettendo al magnesio di legarsi con le particelle di ossigeno presenti nel quarzo. Favors ha così ottenuto una polvere di silicio puro, per di più nanoscopico.

Ma c'è di più: il silicio risultante mostra una struttura porosa, come fosse una spugna, caratteristica altamente desiderabile per la realizzazione di un anodo per batteria, e proprio ciò che ha consentito di triplicare le prestazioni, dati alla mano dai primi test di laboratorio effettuati, rispetto alle batterie odierne.

E' il sacro graal: una maniera economica, non tossica e amica dell'ambiente per produrre anodi ad alte prestazioni per le batterie agli ioni di litio

ha commentato Favors.

I ricercatori stanno ora lavorando ad un metodo per produrre il nanosilicio su larga scala, partendo dalla polvere di quarzo, e per realizzare batterie simili a quelle presenti negli smartphone di oggi.

E' la rivalorizzazione di ciò che già abbiamo, la strada perseguita da Favors. Quanto ci impiegherà ad essere implementata su larga scala, questa tecnologia? Ci auguriamo non troppo.

In ogni caso, poi, rimarrebbe un altro aspetto da valutare, per quanto concerne le batterie, ovverosia il ciclo utile del prodotto e il deterioramento delle stesse. 

Se è vero che una batteria agli ioni di litio, installata su un notebook, subito dopo l'acquisto può durare 3 o 4 ore, per quanti cicli conserverà le sue performance attuali?
Leggi l'intero articolo

giovedì 10 luglio 2014

"Kids react to..." Game Boy


La reazione, inequivocabilmente sconcertata, ha ispirato il video che vi mostreremo oggi. Chi di voi non ha mai giocato con un Game Boy? Si, esattamente, il gadget in questione è proprio uno dei più grandi successi Nintendo.

Peccato però, che le generazioni attuali, nemmeno sappiano della sua esistenza. Cosa succederà al primo approccio di alcuni bambini (intorno ai 10 anni) con il videogames portatile, che ha fatto la storia della Società nipponica?

Ecco l'ennesima puntata della serie "Kids react to…":


La storica console che ha accolto nell'ordine Tetris, Double Dragon, Gargoyle's Quest, Castlevania, The Legend of Zelda : Link's Awakening e ancora gli eccellenti Super Mario Land e Super Mario Land 2 : 6 Golden Coins, non è stata riconosciuta da tutti, eppure la fama avrebbe dovuto precederlo, no?

Se avete dato un'occhiata al video, vi sarete resi conto che, alcuni di loro hanno fatto fatica addirittura a riconoscere la destinazione d'uso dello stesso. Alcuni hanno pensato fosse una sorta di iPhone preistorico e altri un lettore MP3.

Non sconcerta più di tanto,  dire il vero, dato che l'età dei partecipanti al test/gioco, lascia pensare che, si siano approcciati al mondo videoludico, in corrispondenza dell'uscita di devices più moderni come: 3DS, PS Vita, o verosimilmente con lo smartphone e tablet di mamma e papà.

Fa sempre tanta simpatia, vedere come i "nativi digitali" (come vengono definiti ai giorni nostri) si trovino spiazzati, di fronte agli avi dei loro fedeli compagni di viaggio. Chiaro che, per dei ragazzini abituati a videogames a colori, con performance grafiche paragonabili a quelle delle console, ritrovarsi fra le mani un Game Boy, con display bicolore (verde/giallo e nero, vi ricordate?), dev'essere stato disorientante. 
Leggi l'intero articolo

mercoledì 9 luglio 2014

Relazione tra videogames e cervello umano

Nel corso degli anni, diversi studi (vedi quella riportata da Time e quella riportata da nature.com), hanno cercato di evidenziare gli effetti benefici, prodotti dai videogiochi, sia sull'attività cerebrale che, per quanto riguarda il benessere del corpo.


Per quanto riguarda l'ultima categoria citata, si fa evidentemente riferimento a Kinect o a Nintendo Wii. 

Forse, però, ancora nessuno aveva riassunto, in breve, i risultati globali degli studi tematici; ebbene ci ha pensato Liberty Games che, con l'infografica riportata a fondo pagina, ha rimediato a tale mancanza.

Per parafrasare il l'egregio lavoro del sito dedicato ai giochi (elettronici e non), possiamo dire che il 40% della popolazione online ha giocato almeno una volta negli ultimi 12 mesi, con una differenza nella dedizione ai giochi, tra i due generi, che ormai è irrilevante. Il 20% dei genitori, inoltre, gioca insieme ai propri figli al fine di ottenere benefici per la salute.

Secondo gli studi, poi, i videogames portano ad una maggiore attività nella corteccia prefrontale destra e nell'ippocampo destro, producendo un incremento della materia grigia nel cervelletto. Tutte queste attività cerebrali porterebbero a benefici nel lungo periodo in termini di capacità di pianificazione strategica, formazione della memoria, orientamento e attività motorie.

Il tempo speso con i giochi d'azione può migliorare la capacità di lettura nei bambini dislessici, mentre un gioco come Pac-Man è in grado di rallentare l'attività cerebrale e ridurre l'ansia. Secondo un altro studio, il 17% degli impiegati di un call-centre ha verificato una minore produzione di cortisolo, il cosiddetto "ormone dello stress", per il fatto di aver giocato al videogioco di Matrix. Il 44% dei teenager depressi che hanno giocato Sparx, un videogioco integrato appositamente all'interno di alcune terapie cognitivo-comportamentali, ha superato completamente il proprio problema.

Starcraft, inoltre, è in grado di migliorare la flessibilità del cervello, mentre Tetris, sottoposto a chi ha partecipato alla ricerca per 30 minuti al giorno per un totale di tre mesi, ha aumentato lo spessore della corteccia cerebrale, il che migliora le abilità legate al linguaggio, alla memoria, oltre che la cosiddetta consapevolezza percettiva.

Insomma, mettendo insieme tutti gli studi sui videogiochi svolti nel corso degli anni, ci si rende conto come i tanto bistrattati videogiochi, in fin dei conti, consentano di avere benefici per ciascuna parte del nostro corpo.

Come sempre, è l'abuso a rendere la pratica controproducente.

Come anticipato, ecco l'infografica che ha ispirato il post:


Leggi l'intero articolo

martedì 8 luglio 2014

Il risparmio energetico mondiale passa dall'ottimizzazione dei protocolli per i dispositivi in stand-by

Un nuovo report di International Energy Agency punta il dito contro l'inefficienza energetica di alcuni apparecchi tecnologici. Se, al momento dell'utilizzo risultano funzionali e sempre più indispensabili, quando vengono messi in stand-by, quale sarà la loro efficienza?


Dagli studi condotti dalla IEA, le evidenze non lasciano spazio a dubbi: ogni anno ci costa circa 60 miliardi di euro.

Dite la verità, chi non vorrebbe una casa su misura d'uomo, che svolga esattamente tutti quei compiti più noiosi e faticosi, a cui la vita domestica ci ha abituati? 

Ecco perché la domotica ha preso sempre più piede nella nostra realtà abitativa. Quest'ultima però, non è altro che un insieme di sensori e di dispositivi elettronici "always-on" energivori. Per quanto si analizzo solo ed esclusivamente l'aspetto della comodità e, talvolta, della moda, si dovrebbero mettere in conto anche gli sprechi degli stessi apparecchi quando sono in "stand-by".

Proprio su questo verte la ricerca svolta dall'International Energy Agency, che nell'ultimo report, stabilisce che, complessivamente, ogni anno si sprecano 80 miliardi di dollari a causa dell'inefficienza tecnologica.

Secondo l'IEA, nel mondo sono presenti 14 miliardi di dispositivi connessi ad internet (modem, stampanti, console da gioco, apparecchi per la TV) che hanno consumato nel 2013 circa 616TWh (616 * 1012 watt per ora). 

Una quota pari a circa 400TWh è da attribuire esclusivamente alle tecnologie di standby poco efficienti. In prospettiva, si tratta di una cifra equivalente al consumo energetico combinato di Regno Unito e Norvegia, di un anno intero.

La radice del problema, secondo l'IEA, è da ricercare nella cattiva gestione energetica dello "stand-by di rete" dei dispositivi di oggi, ovvero il protocollo che consente al dispositivo di mantenere attiva una connessione di rete anche quando non in uso, in attesa di svolgere la propria funzione principale. Molti dispositivi di rete consumano in standby la stessa energia richiesta quando pienamente attivi, in base a quanto si legge sul resoconto dello studio di IEA.


Il fenomeno potrebbe addirittura evolversi in negativo entro il 2020, lasso di tempo in cui si potrebbe arrivare ad uno spreco quantificabile in 120 miliardi di dollari ogni anno. Entro la data fissata dall'agenzia arriveranno in commercio molte altre tipologie di dispositivi connessi ad internet, come lavatrici, frigoriferi, forni o termostati.

Non fare più uso di dispositivi connessi ad internet non è certamente la soluzione al problema. La IEA si rivolge ai produttori, ad esempio, consigliando loro l'uso di componenti elettroniche più parche nei consumi o l'adozione di software maggiormente ottimizzato. Solamente questa piccola pratica potrebbe abbattere il consumo annuo del 65%.

Nei prossimi anni, l'uso delle più recenti tecnologie e l'applicazione di misure volte all'efficienza energetica potrebbero tradursi in un risparmio di circa 600TWh (600 * 1012 watt per ora) che, secondo il report, potrebbero permettere di avere 600 milioni di tonnellate di anidride carbonica in meno nei nostri cieli, prodotta da ipotetiche duecento centrali standard a carbone da 500 Megawatt (10watt).

E l'utente finale, può fare qualcosa per arginare il fenomeno? Evidentemente ognuno di noi può premurarsi di disconnettere le spine a TV, decoder, modem, stampante per in estate, durante le ferie estive o comunque nei periodi in cui si sta lontano da casa per qualche giorno. 

Basterebbe questo, se fatto su scala mondiale, per risparmiare circa 65GWh (65 * 10watt per ora)

Se volete approfondire l'argomento e avere maggiori dettagli, potete consultare il PDF rilasciato dalla IEA a questo link.
Leggi l'intero articolo
 
Tecnodiary2 © 2011