giovedì 31 ottobre 2013

Il nuovo Nexus 5, finalmente è disponibile

Dopo mesi di attesa è stato finalmente ufficializzato l'annuncio di Nexus 5, il Googlefonino che porterà in dote la versione 4.4 KitKat del sistema operativo del robottino verde.


Dopo una serie di interminabili rumors è finalmente giunta l'ora dell'annuncio ufficiale del nuovo smartphone di Montain View.

Ancora una volta realizzato da LG l'ultimo terminale marchiato Google e primo a portare in dote la nuova versione del sistema operativo Android, ovvero la 4.4 KitKat, prende il nome di Nexus 5, continuando di fatto la tradizione per quanto riguarda la nomenclatura dei dispositivi di mamma Google.

Il nuovo LG Nexus 5 ricorda solo vagamente nel design il precedente Nexus 4, sparisce la finitura in vetro della backcover così come la texture che ne impreziosiva il design. Linee molto più sobrie ed essenziali quindi, come del resto dettano i canoni delle attuali tendenze. Molto sottile la cornice del display, i cui bordi neri sono praticamente nulli specie nelle due zone laterali, particolare ripreso da LG G2, attuale top di gamma LG dal quale eredita anche gran parte della scheda tecnica.


Il nuovo Nexus si fregia di caratteristiche tecniche di tutto rispetto, paragonabili a quelle dei top di gamma della concorrenza:

    • display IPS da 4,95 pollici (risoluzione 1920x1080 pixel);
    • processore Qualcomm Snapdragon 800, frequenza di 2,3 GHz;
    • memoria da 2 GB;
    • HDD da 16 o 32 GB;
    • batteria da 2300mAh con ricarica wireless;
    • fotocamera posteriore da 8 megapixel e anteriore da (soli) 1.3 megapixel;
    • sensori di prossimità e luminosità;
    • accelerometro, bussola, giroscopio e sensore di pressione,
    • connettività WiFi, Bluetooth, NFC, LTE e HDMI via Slimport.

Il prezzo per la versione con taglio di memoria da 16 GB è di 349 dollari statunitensi, mentre per assicurarsi la versione da 32 GB il prezzo sarà di 50 dollari superiore. 


Per quanto riguarda il mercato italiano, al contrario di quanto accaduto con Nexus 4, il nuovo Googlefonino sembra essere già disponibile ad un prezzo di 349 euro (16GB) e 399euro (32GB).

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mercoledì 30 ottobre 2013

Lenovo presenta i suoi Yoga Tablet 8 e 10

Anche Lenovo entra nel settore dei tablet consumer, e lo fa in grande stile con un prodotto di qualità adottando il sistema operativo Android.


Lenovo sfodera un trittico di eventi di lancio dislocati in tre angoli del globo, ovvero Milano (EMEA), Pechino (Asia) e Los Angeles (America).

Se il brand Lenovo non ha bisogno di presentazioni nella fascia di prodotti enterprise e business, giocandosi la leadership delle vendite mondiali con HP, nel settore consumer risulta molto più forte nell'area asiatica; nel vecchio continente ma anche negli USA invece non è certo il primo marchio che ci balza all'occhio guardando gli scaffali della grande distribuzione.

Pur presente con modelli molto apprezzati dal pubblico e dalla stampa specializzata, come ad esempio la serie Yoga, Lenovo non ha finora cercato un vero affondo al mondo consumer, posizionando i propri prodotti su una fascia di prezzo non certo entry-level. Ora però la musica cambia, andando ad attaccare direttamente il mondo consumer laddove il clima è rovente, ovvero nel settore dei tablet.

Proprio ieri sera infatti Lenovo ha presentato Yoga Tablet 8 e Yoga Tablet 10 (rispettivamente, come dice il nome, a 8" e a 10"), che si ripropongono di offrire una valida alternativa alla concorrenza Android di pari misure, puntando su alcune caratteristiche peculiari e su costruzione e design molto curati.

Risulta dunque molto significativo il lancio di prodotti di questo tipo, specie per un marchio come Lenovo: emerge chiara la volontà di entrare nel segmento consumer dei tablet Android con soluzioni in grado di innovare in un settore che vede prodotti sempre molto simili tra di loro. 









Il gioiellino firmato Lenovo ha come punto di forza l'autonomia: la società cinese ha dichiarato che il modello da 10" raggiunge le 18 ore.

Non manca una tastiera ad incastro opzionale che permette di trasformare Yoga Tablet 10 in qualcosa di molto simile ad un notebook.
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martedì 29 ottobre 2013

Project Ara by Motorola

Motorola ha svelato ufficialmente Project Ara, un piano open-source per realizzare smartphone modulari, con l'obiettivo di rendere personalizzabile la componentistica interna dei dispositivi mobile, così come Android ne ha reso personalizzabile la parte software.


La compagnia mira a creare un ecosistema che supporta lo sviluppo di hardware di società di terze parti: in altre parole, grazie ad Ara sarà possibile aggiornare la componentistica interna come processore, display e molto altro, adottando hardware di società terze, anche diverse rispetto al precedente modulo installato.

Dopo Phonebloks, un progetto simile che nasce con l'intento di portare sul mercato i primi concept di smartphone modulari, ora è il momento di Project Ara. Motorola ha già dichiarato di lavorare assieme ai ragazzi della società, in modo da utilizzare standard compatibili e non creare due nicchie separate, aiutando la startup a realizzare la stessa idea attraverso le proprie competenze tecniche.



Project Ara farà uso di un "endo", una sorta di esoscheletro sul quale installare i vari moduli, che "possono essere qualsiasi cosa", come una nuova tastiera, una batteria o anche hardware ben più specifico.

Motorola contatterà i vari produttori per iniziare la produzione dei moduli Ara. I primi dev kit saranno rilasciati questo inverno, mentre i produttori interessati possono iscriversi al sito Ara Scout già da subito.
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lunedì 28 ottobre 2013

Bancomat per Bitcoin: la prima in Canada

Una piccola società fondata da tre compagni di scuola opererà il primo sportello automatico di bitcoin a Vancouver la prossima settimana.


Entro la fine dell'anno nuovi sportelli a Toronto, Montreal, Calgary ed Ottawa.

La prossima settimana, infatti, la città canadese di Vancouver assisterà all'accensione del primo bancomat bitcoin al mondo. Il dispensatore automatico verrà reso operativo accanto all'ingresso di una caffetteria e permetterà agli avventori di cambiare bitcoin in valuta reale e viceversa.

Per acquistare bitcoin mediante il dispensatore sarà necessario effettuare una scansione del palmo della mano e quindi depositare fino ad un massimo di 3000 dollari canadesi al giorno. La macchina opera quindi uno scambio su VirtEX Canada e invia la somma in bitcoin all'indirizzo del bitcoin wallet desiderato. La scansione del palmo della mano è necessaria per evitare che il singolo individuo possa operare transazioni di valore complessivo superiore ai 3000 dollari al giorno, allo scopo di rispettare le norme antiriciclaggio canadesi.

Il nuovo bancomat bitcoin è operato da una piccola compagnia, Bitcoiniacs, fondata da tre compagni di scuola che qualche mese fa hanno avuto l'idea di avviare una attività di cambio valuta di bitcoin. I tre ragazzi sono venuti a conoscenza di Robocoin, il dispensatore automatico costruito da una società del Nevada e mostrato in anteprima la scorsa primavera in occasione di una Bitcoin Conference a San Jose. Jordan Kelley, CEO di Robocoin, ha spiegato che negli Stati Uniti vi sono regolamentazioni che rappresentano una barriera importante per chiunque si voglia cimentare in un'impresa di questo tipo.

I tre compagni di scuola hanno investito oltre 90 mila dollari per acquistare cinque bancomat Robocoin che sperano di poter collocare, oltre a Vancouver, anche a Toronto, Motreal, Calgary ed Ottawa. Attualmente non è chiaro fino in fondo se Robocoin sia in regola con tutte le norme canadesi, ma i tre ragazzi hanno affermato di non aver ricevuto alcuna indicazione specifica da parte dell'agenzia Transactions and Reports Analysis Centre of Canada in merito alla nuova attività.

Nel corso di quest'anno il valore dei bitcoin ha subito una consistente impennata passando dai 13 dollari del mese di gennaio ad oltre 250 dollari nella primavera, prima di un crollo e di una ulteriore ripresa. In questo periodo le contrattazioni avvengono attorno i 200 dollari. Per alcune persone può essere un processo lungo e laborioso scambiare bitcoin online, motivo per il quale molti utenti preferiscono un incontro de visu per comprare e vendere la valuta digitale. Il nuovo Robocoin sta offrendo una nuova possibilità.
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sabato 26 ottobre 2013

Mac Pro: ecco il making del nuovo top di gamma made in Cupertino

Il sito web Atomic Delights ha realizzato un'attenta analisi sulle varie fasi della produzione del nuovo Mac Pro, che vale la pena riportare.


E' ormai passato un anno dal giorno della presentazione e a dicembre finalmente arriverà sugli scaffali degli Apple Store. 


Quello che rende affascinante il processo produttivo di Apple non è il fatto che si utilizzino tecnologie aliene, [...] Tutte le tecnologie che mostra Apple in questo video sono praticabili da numerose fabbriche locali, qui a Portland, in Oregon. 

Il post basa la sua analisi sul video (riportato qui sotto) che la stessa Apple ha mostrato all'evento del 22 ottobre e che ha pubblicato su YouTube.


Phil Schiller durante l'annuncio ha detto che Apple ha utilizzato tecnologie del tutto nuove alla società per produrre il nuovo Mac Pro, soprattutto per quanto riguarda l'inedita forma cilindrica dello chassis. Apple utilizza per la prima volta un processo noto come stampaggio idraulico ad iniezione. Con questo sistema è possibile creare la forma cilindrica senza adottare più parti metalliche, in modo da creare una soluzione continua e senza interruzioni visibili ad occhio o al tatto. Il blocco in alluminio, per rendere questo possibile, viene aspirato attraverso una serie di stampi che estendono progressivamente il blocco in quella che sarà sostanzialmente la forma finale del Mac Pro. 

Il processo di stampaggio ad iniezione, oltre ad essere più preciso dal punto di vista della forma finale è anche particolarmente efficiente. Apple avrebbe potuto utilizzare un tornio per ricreare la forma da una grossa lastra di alluminio, ma in questo modo avrebbe dovuto rimuovere gran parte del materiale che sarebbe diventato inutilizzabile. 

Con il processo di imbutitura, invece, Apple riesce a creare la forma cilindrica in pochi semplici passi, che viene poi solo successivamente passata al tornio per ripulire la superficie da imperfezioni e creare l'effetto lucido. Nel centro di lavorazione vengono poi inserite le parti accessorie (porte I/O, tasto d'accensione), per subire infine il processo di anodizzazione, che non è un semplice rivestimento ma una reale trasformazione del metallo attraverso il passaggio di corrente elettrica in un bagno d'acido. 

Nonostante Apple abbia rivolto l'attenzione del pubblico verso il design e la produzione estetica del nuovo Mac Pro, sarebbe altrettanto interessante scoprire come si è riuscito a produrre quanto contenuto al suo interno. In uno chassis notevolmente più piccolo rispetto ad un desktop consumer tradizionale, il nuovo Mac Pro contiene componentistica di tipo professionale che richiede una dissipazione termica enormemente sofisticata per poter gestire efficacemente il calore sprigionato dalla componentistica. 

Nel video viene mostrato come il sistema di dissipazione triangolare viene prodotto attraverso un processo automatizzato di sabbiatura. Si tratta di un processo che difficilmente potremmo vedere all'interno delle fabbriche cinesi, in cui i macchinari vengono spesso azionati da operai qualificati. Al centro si trova un braccio robotico FANUC, che ha un costo estremamente elevato nei confronti degli strumenti utilizzati nelle catene di fornitura cinesi. 

Quello che ha voluto dimostrare Apple con questo video è la capacità della società di saper integrare diverse tecnologie di produzione per portare a termine un'unica idea su un prodotto, caratteristica che possiamo considerare esclusiva nel settore dell'informatica. Di certo avere 147 miliardi di dollari come liquidità di cassa aiuta in fase di progettazione di un prodotto, ma sembra evidente che alcune delle procedure pensate da Apple per i suoi ultimi prodotti sembrano semplicemente irraggiungibili per la concorrenza diretta. 

Atomic Delights conclude:

Con il Mac Pro, Apple ha elevato il processo relativamente a bassa precisione e bassa tolleranza (stampaggio ad iniezione) usato per costruire la ciotola dell'acqua per il mio cane e il contenitore dello scopino del mio bagno per realizzare un gioiello del mercato desktop di qualità assolutamente aerospaziale.

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venerdì 25 ottobre 2013

La Germania vuole Internet tutta per sé

Le conversazioni dei principali leader mondiali, come sicuramente avete sentito negli scorsi giorni, sono state intercettate. Francia, Germania e Italia non ne sono rimasti esenti.  


Insieme ai tre paesi sopra citati, altri 32 leader sono stati coinvolti. Alcuni, tra cui Angela Merkel, l'hanno presa di petto e si sono infuriati, altri, invece, si sono dimostrati più diplomatici. 

La Germania, per cautelarsi, sta valutando la possibilità di creare una sua rete internet per evitare ulteriori ingerenze, almeno sul quel fronte. L'idea è di Deutsche Telekom che sta sondando il terreno con le altre compagnie di telecomunicazioni nazionali per potere unire le forze e sottrarre il traffico internet tedesco alle grinfie delle intelligence straniere.

Un obiettivo alto, non c'è che dire, anche piuttosto difficile da raggiungere.

E' comprensibile la rabbia verso questo tipo di atteggiamento prevaricante e subdolo, ma siamo sicuri che sia la soluzione?

Chi lo dice ora alla Merkel che la comunicazione è stata rivoluzionata dal world wild web, proprio per il suo modo globale di affrontare il matching fra mondi diversi.

Una decisione del genere è solitamente figlia di una filosofia totalitaria, un tentativo di controllare e di chiudersi in se stessi per escludere il mondo esterno. Siamo sicuri di voler emulare una nazione come la Germania?
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giovedì 24 ottobre 2013

Metal Gear Solid 5 The Phantom Pain

Hideo Kojima è tornato a parlare di Metal Gear Solid 5 The Phantom Pain e ha ulteriormente chiarito cosa dovranno aspettarsi gli appassionati con l'introduzione delle inedite meccaniche free roaming.


Secondo il game designer nipponico la filosofia open world rappresenta il futuro dell'intrattenimento digitale e permetterà di approcciarsi ai mondi di gioco in modo più articolato e coinvolgente.

A seguire le dichiarazioni: di Kojima durante un'estesa intervista rilasciata al magazine giapponese Famitsu:

Credo che il termine "open world" abbia creato alcuni fraintendimenti [...] Ovviamente non si tratterà di un gioco in cui Snake trascorre il suo tempo pescando, cambiando lavoro e svolgendo una vita diversa. La mappa di gioco è open world e si ha una certa libertà, ma in MGS 5 gli obiettivi sono chiari. Questo potrebbe comportare di dover aiutare qualcuno, distruggere un oggetto o ancora raccogliere informazioni di intelligence in un determinato punto. Ci saranno anche alcune missioni da portare a termine entro un limite massimo di tempo.

Il leader di Kojima Productions ha poi espresso un velato rammarico per non aver potuto adottare questa filosofia di gioco già nei capitoli precedenti della saga.

Fino ad ora con Metal Gear Solid abbiamo potuto solamente costruire i luoghi nei quali ci si doveva infiltrare. Il modo in cui si arrivava fin lì veniva mostrato in una cut-scene e il giocatore si trovava immediatamente di fronte al punto d’ingresso. Terminata la missione, si sarebbe avviato un nuovo filmato d'intermezzo, sarebbero arrivati un elicottero o qualche altro mezzo di trasporto utili alla fuga. Titoli così lineari non sono male, ma sarebbe stato divertente se aveste potuto essere voi a pensare il miglior modo per infiltrarvi, quale tipo di equipaggiamento utilizzare e infine come uscirne.

Peraltro la nuova filosofia di gioco sembra ancora di difficile comprensione per gli appassionati, che in questi mesi hanno cercato di saperne di più. Da questo punto di vista Kojima ha ammesso che la comunicazione da parte del team non è stata particolarmente efficace.

E' vero, il modo in cui MGS è associato ad un mondo aperto è un aspetto che non abbiamo comunicato particolarmente bene. Con questo titolo stiamo costruendo un sistema di controllo e delle espressioni adeguate al mercato globale, in modo da venire incontro alle esigenze del mercato nord americano; questo fattore potrebbe avere un impatto anche sulle meccaniche. Ma dopo averlo provato dovreste percepire che si tratta sempre di Metal Gear Solid. [...] I videogioch sono media interattivi e la sfida consiste nell'essere capaci di utilizzare quello che viene liberamente fornito per giocare. Gli open world creano tutto questo e penso che costituiscano il futuro del gaming.

Kojima ha poi fornito alcuni indicazioni anche su Ground Zeroes, che è da interpretare come una sorta di prologo esteso del gioco vero e proprio. Una scelta principalmente dettata dalla complessità del gameplay.

L'interfaccia utente è un po' diversa, ma si tratta sempre di un open world. Abbiamo avuto uno scopo concreto nella separazione del gioco, perchè se ci limitassimo a proiettarvi nel mondo open-world principale siamo convinti che i veterani di MGS potrebbero rimanere confusi.

Sembra insomma che Ground Zeroes possa essere visto come un "ponte" tra i vecchi capitoli della saga e questo approccio completamente inedito per la serie. Una fase di transizione necessaria per comprendere quale sia la nuova filosofia che è stata perseguita.

La sezione principale del gioco è davvero molto estesa ed è possibile essere attaccati dai nemici a 360°. Col passare del tempo le reazioni in-game cambieranno in base alle azioni compiute dal giocatore. Per evitare che la gente pensi "Questo non è MGS!" limiteremo la quantità disponibile all'inizio ed elimineremo l'evolvere del tempo e il cambio delle condizioni meteorologiche.

Ma i motivi alla base della suddivisione tra The Phantom Pain e Ground Zeroes non finiscono qui. Kojima ha infatti confermato che esistono anche specifiche ragioni legate allo svolgimento della trama.

Ground Zeroes prende le mosse nel 1975, un anno dopo Peace Walker, mentre il gioco principale si svolge nel 1984, nove anni più tardi [...] Al termine di Ground Zeroes accade qualcosa di negativo e a quel punto si proseguirà nel gioco principale. Fino a quando non giocherete GZ non potrete capire il motivo per cui la rappresaglia è uno dei temi principali di Metal Gear Solid 5. E' davvero il "ground zero" della storia di Snake.

Vi ricordiamo che Metal Gear Solid 5 è previsto su PC, PS4 e Xbox One, ma al momento non è stata ancora ufficializzata la data di lancio.




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mercoledì 23 ottobre 2013

Panasonic e Sony puntano sui video 4K

Il Full HD rappresenta ormai lo standard video adottato dalla maggior parte dalle fotocamere, che esse siano reflex, mirrorless o semplicemente compatte.


A pochi anni dal rilascio, il mercato sembra già arrivato il momento del successivo step evolutivo: UltraHD o 4K, ecco le parole d'ordine del momento in ambito video.

Il nuovo formato, è in grado di produrre risoluzioni 4 volte maggiori dell'odierno 1080p e sta cominciando a sconfinare dal settore delle videocamere professionali ai prodotti ibridi, come le fotocamere con spiccata vocazione video.


Canon EOS 1D-C è il prodotto che ha aperto la via allo sbarco dell'Ultra HD sulle reflex, ma la concorrenza non sta a guardare ed è pronta a mettere sul piatto le proprie proposte. In ambito video i due nomi che più hanno presentato proposte 4K nell'ultimo periodo sono i nipponici Sony e Panasonic ed entrambi i marchi orientali sono, stando alle indiscrezioni, al lavoro per reflex/mirrorless dotate di supporto video 4K.

Negli scorsi giorni, a margine della presentazione delle nuove mirrorless full frame Sony Alpha A7/A7r, Sony ha detto di avere altro in serbo, lasciando intendere che il prodotto andrà a posizionarsi al top della gamma. I bene informati sono riusciti a strappare qualche dettaglio in più e dicono che le nuove fotocamere saranno ben due: una simil-reflex dalla vocazione sportiva e una maggiormente specializzata in ambito video, proprio grazie al supporto 4K.

Il rumor di oggi, pubblicato da EOSHD, generalmente poco propenso a inseguire notizie poco fondate, parla invece di Panasonic Lumix GH4: non semplicemente l'erede di GH3, ma un prodotto che si posizionerà a quasi tremila dollari di listino ma che offrirà riprese 4K/24/25/30fps, sensore da 16 megapixel, campionamento 4:2:2 a 10bit (probabilmente con codec AVC Ultra), con opzioni 200Mbit MP4 ALL-I e 100Mbit IPB. Si tratta di un prodotto che punta a stuzzicare il pubblico professionale appassionato di Panasonic che in questo momento sta guardando con interesse una reflex come Canon EOS 1D-C.

Lumix GH3 vedrà poi la sua erede in GH5, con il consueto salto del numero 4 che, per ragioni di scaramanzia, non viene utilizzato dai giapponesi di Panasonic. In questo caso però la tentazione, vista la sovrapposizione tra GH4 e 4K, deve essere stata troppo forte.

Questa propensione alla risoluzione estrema da parte di Sony e Panasonic, lascia per strada Nikon, ma non Canon quindi, che "a questo giro si lancia in fuga".
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martedì 22 ottobre 2013

Le novità iPad presentate all'evento Apple

Ecco le novità presentate quest'oggi durante l'evento Apple, davvero molto atteso, riassunte in questo post.


Spesso solo 7.5 millimetri, il nuovo iPad è stato ribattezzato da Appe iPad Air, un parallelo evocativo con il MacBook Air, pioniere nel segmento ultrabook.

Il nuovo device pesa solo 469 grammi, contro 660 grammi della generazione precedente e, grazie alla cornice laterale più sottile, è ancora più maneggevole.

Ecco una carrellata delle caratteristiche:
    • processore Apple A7 (quello dell'iPhone 5s) con architettura ARM a 64 bit (che lo rende 8 volte più potente rispetto al primo iPad, mentre le prestazioni grafiche sono addirittura 72 volte superiori);
    • memorie flash, due volte più veloci;
    • connessione WiFi e 4G;
    • autonomia superiore alle 10 ore.

Le colorazioni disponibili per la scocca sono il classico alluminio ed il nuovo grigio siderale, già adottato dal nuovo iPhone 5s e dagli iPod touch e iPod nano. Il nuovo iPad Air sarà in vendita in Italia dal 1 novembre a partire da 479 euro. Come è già successo su alcuni modelli iPhone, anche iPad 2 rimarrà in vendita a 379 euro nel taglio da 16GB.

In questa  giornata di novità made in Cupertino, non si sono risparmiati e hanno confermato alcune voci che circolavano da tempo. Come da programma, è stato presentato l'iPad mini di seconda generazione, con display Retina.

In breve le caratteristiche:
    • schermo con risoluzione 2048×1536 pixel con dimensioni di 7.9″ (324 ppi);
    • processore A7; 
    • durata batteria con durata 10 ore per un uso normale del dispositivo;
    • Wi-Fi due volte più rapido con antenne MIMO e supporto LTE;
    • fotocamera iSight da 5 megapixel,
    • FaceTime HD migliorato.

 I colori dell'iPad mini 2 seguono il trend Apple del momento, cioè argento/bianco e grigio siderale/nero.


Inoltre, a corredo, saranno disponibili delle custodie di polyuretano colorate, al prezzo di 39$. Le custodie di pelle costeranno invece 79$ per l'iPad Air e 69$ per l'iPad mini e sono disponibili anche nella versione (RED).

Gli iPad mini di seconda generazione dovrebbero essere disponibili fine novembre e costare 389 euro in Italia. Apple continuerà a vendere gli iPad mini al prezzo ridotto di 289 euro.
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lunedì 21 ottobre 2013

Prezzo e curiosità sulla nuova Pentax K-3

In questo periodo la mia curiosità mi ha portato fra obiettivi e corpi macchina, alla ricerca della reflex giusta per le mie esigenze. 


Inutile dire che Canon e Nikon la fanno da padrone con modelli per tutte le tasche e per ogni tipo di utenza. Fra le due marche più blasonate, o semplicemente più di "moda", si insinua un terzo competitor, il meno rinomato e sicuramente meno diffuso, ovvero la storica Pentax, regina delle analogiche d'un tempo. 

Ricoh, proprietario del marchio Pentax dal 2011, ha recentemente presentato la sua nuova reflex Pentax K-3: si tratta di un prodotto che si è fatto notare, oltre che per il corpo macchina a prova di intemperie (un classico in casa Pentax), per la presenza di un particolare meccanismo che sfruttando il sistema di stabilizzazione del sensore è in grado di mimare (agendo al contrario) l'effetto del filtro anti aliasing quando necessario. Il sensore CMOS APS-C da 24 megapixel è infatti privo del filtro passa-basso e Pentax ha studiato questa soluzione per quelle situazioni in cui il moiré potrebbe rappresentare un grosso problema.


Trovate tutti i dettagli tecnici sul sito ufficiale. Ora FOWA, il distributore italiano dei prodotti Ricoh/Pentax, ha annunciato i prezzi ufficiali di Pentax K-3 per il nostro Paese:
    • Solo corpo: 1.349 euro.
    • In kit con ottica tropicalizzata DA-L 18-55mm AL WR: 1.399 euro.

Budget non da tutti, sicuramente, ma con caratteristiche di tutto rispetto, che potrebbero fornire un'alternativa valida e curiosa alle "blasonate cugine".
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sabato 19 ottobre 2013

Twitter sfiderà WhatsApp e Facebook sul fronte messaggistica stand-alone

I tempi sono ormai maturi e Twitter è prossima a lanciare il guanto di sfida a WhatsApp e Facebook, in serbo per gli utenti una nuova app di messaggistica stand-alone.


Questo è quanto emerso da un articolo dell'eminente AllThingsD che, citando fonti rimaste anonime, avverte dell'imminente cambiamento.

Si tratta del rinnovamento della funzione dei messaggi privati propria del social network, che potrebbe rilasciare un'applicazione stand-alone con l'esclusivo supporto al servizio di messaggistica, andando a scontrarsi così direttamente con i colossi del settore, come WhatsApp, in primis, e Facebook, che ha rilasciato ormai da tempo la sua Messenger.

I segnali della possibile novità sono molteplici e si susseguono da alcune settimane. Recentemente, Twitter ha iniziato i test riguardo a una nuova feature che consente di mandare messaggi diretti anche agli utenti che non si seguono sul social network, caratteristica il cui roll-out è iniziato globalmente proprio in questa settimana.

Come fa notare AllThingsD, quella dei messaggi diretti è stata una feature a lungo richiesta ma trascurata da Twitter, che si è trovata costretta ad aggiungerla una volta scoppiato con insistenza il fenomeno delle applicazioni di messaggistica. La società potrebbe inoltre introdurre un servizio esclusivamente mirato alla messaggistica istantanea nel tentativo di mostrarsi come il fulcro della conversazione globale, e sembra logico pensare che i messaggi privati rappresentino una parte più che consistente del settore.

La competizione da sempre migliora il prodotto finale, certamente, ma così facendo Twitter snatura la propria politica, che va oltre al semplice scambio di messaggi. Le regole stringenti di invio e il metodo di condivisione l'hanno distinto sin da subito dai suoi social network competitor. 
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venerdì 18 ottobre 2013

Anche Nokia nel mondo degli smartwatch

Apple, Samsung e ora anche Nokia: se la prima sembrava la più spavalda e pronta a lanciare il progetto smartwatch, la seconda è stata la prima a presentarne la propria version; la terza non vuole rimanere con le mani in mano.


La casa finlandese, entra prepotentemente in questo mondo presentando un video del proprio gioiellino tecnologico da polso. 

La scelta di Nokia di esporre il proprio operato, sembra volto al fugare le speculazioni che in tali casi si moltiplicano. Il progetto mostra il dispositivo nel suo design multi-display, denotando un'estetica discutibile.

Oltre al video, Nokia ha diffuso dei disegni (vedi sotto) che mostrano ogni singolo display posto su ogni segmento del bracciale. Ogni display è anche staccabile e può essere usato indipendentemente o come appendice di quelli adiacenti. Come anticipavo, non è un oggetto che passa inosservato, ma ricordiamo che stiamo parlando di un prototipo in cui tutto può cambiare, compresi quegli orrendi elastici che compongono il supporto degli schermi, si spera.


Come riporta BGR, il brevetto è stato presentato il 20 agosto scorso, molto prima dell'acquisizione di Microsoft quindi non sappiamo come questo possa influire sullo sviluppo di questo progetto, ma considerato che quello degli smartwatch sembra essere il trend del momento, sarebbe strano se Microsoft e Nokia non facessero la loro parte nello show.
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giovedì 17 ottobre 2013

PiracyData.org e le teorie sulla pirateria

Mentre l'industria cinematografica si affanna per trovare la soluzione per mettere fine alla pirateria, un articolo del Washington Post paventa un'ipotesi del tutto controversa ma fondata.


Come riportato dal Washington Post, un nuovo sito web, PiracyData.org, avanza molto seriamente questa ipotesi. Nella lista dei contenuti più scaricati su TorrentFreak, basata su dati estratti da CanIStreamIt (un popolare sito di statunitense streaming), sembra che la maggior parte dei film scaricati illegalmente siano proprio quelli non disponibili in commercio.

Secondo quanto spiegato dal Washington Post:

Per quanto riguarda i risultati della scorsa settimana, non un solo film di quella lista era disponibile per l’acquisto in streaming, ad esempio su Netflix o Amazon. Solo tre film della top 10 (The Lone Ranger, After Earth e This is the End) erano disponibili per il noleggio online… E solo 6 film della top 10 (Pacific rim, The Internship, The Lone Ranger, Monsters university, After Earth e This Is the End) erano disponibili per l’acquisto online.

Questi risultati sembrano trovare un'ulteriore conferma ogni settimana: ogni volta è la mancanza della possibilità di acquistare il contenuto in via legale (su Netflix prima di tutto) che induce gli utenti a rivolgersi a soluzioni illegali.
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mercoledì 16 ottobre 2013

Focus sul problema dell'anonimato in rete. Ci pensa TorSearch a sciogliere le riserve

Tor (The Onion Router), la piattaforma che consente agli utenti di navigare (relativamente) in anonimato, non ha più bisogno di presentazioni. Adesso arriva TorSearch.


Di fronte al crescente successo di Tor (The Onion Router), la piattaforma che consente agli utenti di navigare (relativamente) in anonimato e in concomitanza con le recenti rivelazioni sui numerosi casi di spionaggio in rete, adesso si fa strada un nuovo motore di ricerca dedicato, TorSearch.

Esistono dei siti Web ai quali si può accedere solo tramite Tor. Per ragioni di "tranquillità", infatti, scelgono di rimanere invisibili ai principali motori di ricerca convenzionali, Google in testa. E' quella parte della rete invisibile da alcuni definita Deep Web.

Secondo una ricerca sulle dimensioni della rete condotta nel 2000 da Bright Planet, infatti, il Web è costituito da oltre 550 miliardi di documenti mentre Google ne indicizza solo 2 miliardi, ossia meno dell'uno per cento.

TorSearch intende diventare il leader indiscusso della ricerca nel mondo del Tor.


Con oltre 130.000 pagine già indicizzate, un volume di traffico raddoppiato in appena tre settimane e un’esperienza di ricerca migliore di DuckDuckGo (secondo VentureBeats), le cose sembrano andare abbastanza bene per TorSearch.
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martedì 15 ottobre 2013

Il mondo geek alla conquista della pubblicità

La pubblicità è per i più un fastidio, ma per qualcuno rappresenta il lavoro e un investimento per se o per la propria azienda. 


A volte però, più che un'opportunità, rappresenta un vero costo: basta analizzare il costo di uno spot di 30 secondi inserito durante la serie The Big Bang Theory.

Il pubblico di Geek sembra generare la pubblicità più costosa d'America. 


Il grafico sopra riportato mostra i costi degli spazi pubblicitari di 30 secondi nei primi 10 programmi di primetime. 

E non senza qualche sorpresa scopriamo che il vincitore è nientemeno che The Big Bang Theory, il programma cult, tanto amato dal mondo geek.
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lunedì 14 ottobre 2013

Google utilizzerà le tue foto per fini pubblicitari... e non solo

Sicuramente questa è la notizia del giorno, e probabilmente non dovrebbe essere circoscritta solamente alla giornata odierna.


Il tema è delicatissimo, si tratta della sensibilizzazione rispetto al tema della privacy, tanto cara a tutti quanti, ma evidentemente non poi così tanto ai manager di Google.

Gli utenti di quest'ultima, presto, si ritroveranno senza la propria volontà all'interno degli inserti pubblicitari proprietari che si possono trovare ormai nella stragrande maggioranza di siti web, tramite un massiccio cambiamento perfezionato all'interno dei termini di servizio della società di Mountain View.

Riportato in un primo momento dal New York Times, le modifiche catalogheranno molteplici azioni dell'utente come commenti, +1, e pagine seguite con il nome di "conferme o consigli condivisi" per uno specifico prodotto. 

I feedback da persone conosciute consentono di risparmiare tempo e di migliorare i risultati per l'utente e per i suoi amici in tutti i servizi Google, fra cui Ricerca Google, Maps, Play e pubblicità 

si legge all'interno della pagina che riporta le novità nei termini di servizio sul sito di Google

Ad esempio, gli amici possono vedere che un utente ha valutato un album con quattro stelle nella pagina Google Play della relativa band. Inoltre, un +1 fatto sul panettiere locale preferito potrebbe essere incluso in un annuncio che il panettiere pubblica su Google. Questi consigli sono detti conferme condivise. 

Grazie alle novità, Google potrebbe inserire nome utente e fotografia di un qualsiasi contatto all'interno di un banner pubblicitario in modo da incrementare la credibilità dello stesso agli amici e seguaci dello stesso contatto. Non sono state specificate le caratteristiche estetiche dei nuovi banner, tuttavia le informazioni "sociali" che Google potrebbe includere al loro interno potrebbero essere molteplici. 

Le modifiche ai termini di servizio verranno annunciate ufficialmente all'interno della pagina principale dello stesso Google, in modo da rendere consapevoli i vari utenti delle novità prima che le stesse verranno introdotte nei vari servizi del colosso di Mountain View il prossimo 11 novembre. Logicamente Google utilizzerà solo le informazioni di utenti maggiorenni, in questo modo chiunque non abbia raggiunto i 18 anni non verrà inserito nei nuovi inserti pubblicitari. 

Google+ non ha mai avuto il successo sperato, soprattutto se paragonato ai concorrenti diretti come Facebook. Le nuove modifiche ai termini di servizio non lasciano di certo sperare a novità sostanziali in tal senso dal momento che le gravi implicazioni sulla privacy delle stesse potrebbero di fatto allontanare i nuovi utenti interessati al servizio, che avevano aggirato il social network di Zuckerberg per gli stessi motivi. 

Di fatto, anche Facebook utilizza un sistema pubblicitario simile a quello previsto prossimamente nei servizi di Google, tuttavia in entrambi i casi gli utenti potranno scegliere di disabilitare i consigli condivisi in modo da non apparire all'interno dei banner pubblicitari nei computer e sistemi mobile degli amici, ma per tutti gli altri le novità saranno abilitate automaticamente il prossimo 11 novembre. 

È possibile trovare maggiori informazioni sui consigli condivisi e, se preoccupati dalle implicazioni sulla privacy, su come disabilitarli permanentemente in questa pagina.
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sabato 12 ottobre 2013

La Bibbia è d'ispirazione non solo ai fedeli, ma anche agli hacker

Altro studio, altre rivelazione. Sembra il tema degli ultimi anni. Questa volta gli sforzi dei ricercatori avevano l'obiettivo di sondare il terreno delle password.


Ars Technica si è interessata ai meccanismi di hack delle password. I ricercatori in tema di sicurezza Kevin Young e John Dustin hanno utilizzato libri scaricati da Project Gutenberg per contribuire a creare un enorme database di parole e frasi.

Hanno creato un database con il contenuto della Bibbia, di molti altri libri e di Wikipedia; successivamente hanno testato questi riferimenti, nel tentativo di craccare 344.000 password comunicate dalla società Stratfor nel 2011.

Quasi immediatamente, un diluvio di password, spesso anche abbastanza tenaci, sono state rivelate. Tra queste: "Riuscirò mai vederti la faccia?", "in principio era il Verbo", "Dalla genesi", "Datemi la libertà o datemi la morte"…

L'articolo prosegue spiegando come la coppia di esperti abbia usato YouTube , Twitter e altre fonti ricche di dati per aggiungere profondità e complessità alle loro tecniche di infiltrazione.

I vostri account potrebbero quindi non essere così al sicuro, specialmente se siete appassionati di riferimenti biblici. Prendetela come una curiosità. La notizia arriva dalla Francia e lascia un po' di dubbi. Sicuramente la Bibbia è il libro più venduto di sempre e quindi la diffusione è abbastanza capillare (non uniforme evidentemente), però non so se è altrettanto vero che, oltre ad averla comprata, l'abbiano anche letta.
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venerdì 11 ottobre 2013

La pirateria non uccide il cinema (Forse!)

I lobbisti del copyright e gli studiosi non smettono di litigare sull'argomento. Quando i primi attaccano la pirateria di volere uccidere l'indutria del cinema e della musica, i secondi tentano di dimostrare, numeri alla mano, che l'industria dei contenuti fattura ancora considerevolmente.


L'autorevole London School of Economics and Political Science ha appena prodotto uno studio sulla crescita dei guadagni dell’industria dei contenuti. Sia nella musica che nel cinema i guadagni non cessano di moltiplicarsi (per Hollywood +6 % di ricavi nel 2012 in confronto al 2011). Insomma le cifre non sembrano evidenziare nessuna forma di crisi.

Ovviamente non si è fatta attendere la risposta dei lobbisti della Motion Picture Association of America (MPAA) che hanno accusato la London School of Economics di dire falsità.  La MPAA ha messo le mani avanti con un altro studio ("perfettamente imparziale") che ovviamente conferma il loro punto di vista.

Peccato che questo studio nella prima pagina includa in bella mostra la seguente frase:

Ringraziamo la Motion Picture Association of America (MPAA) per avere sostenuto questo studio con finanziamenti generosi.

A dire il vero, non è la prima volta che, in fatto di file sharing e di musica, le opinioni discordano. A onor del vero, prescindendo dai sospetti sopra citati, altre voci seguono questa corrente: il più autorevole, data la portata del proprio lavoro in ambito musicale, è Ed O’Brien dei Radiohead, che sostiene:

Bisogna licenziare più musica, avere più siti come Spotify, più siti che vendono musica e abbassare i prezzi per diventare competitivi con i peer-to-peer. [...] Tutti cambiamenti che l'industria discografica potrebbe applicare in una settimana ed é incredibile come sia restia a farlo.
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giovedì 10 ottobre 2013

Ma internet è davvero libero?

Internet è la casa di miliardi di persone: tutte si sentono in diritto di dire la loro e sono in alcuni casi, quando la propria libertà, oltrepassa la soglia dell'illecito.


Non sempre, però, internet si mette da parte e lascia che le cose accadano, senza che i suoi "abitanti" vengano in alcun modo lambiti.

Per schematizzare la situazione, FreedomHouse ha realizzato dei grafici che dividono il globo in un reticolo, diviso per aree geografiche.


Il nuovo rapporto Freedom on the Net 2013 mostra la censura applicata alle reti telematiche in sessanta paesi del mondo diversi catalogati in base a tre categorie differenti: libero, parzialmente libero e non libero. 

Nonostante il caso riguardante l'NSA, l'America resta ancora saldamente nelle prime posizioni come paese del tutto libero, assieme all'Italia (solo leggermente dietro), Germania e Regno Unito. Sono solamente 17, fra i 60 paesi considerati, quelli a poter vantare una totale libertà per quanto riguarda i servizi online.

Nel rapporto finale degli studi analitici del 2013, FreedomHouse riporta gli aspetti salienti. In quasi la metà dei paesi considerati le autorità hanno bloccato alcuni contenuti di tipo politico e sociale nell'ultimo anno, fra cui Cina, Iran e Arabia Saudita in proporzioni maggiori rispetto al resto. In 28 paesi invece è avvenuto almeno un arresto per la pubblicazione di contenuti online illeciti, fra cui molti utenti rei di aver pubblicato contenuti considerati non appropriati sui social network.


In cinque paesi, fra quelli considerati nello studio, ci sono state fatalità in seguito a torture o attacchi fisici dovuti alla pubblicazione di contenuti considerati non appropriati che spesso esponevano al pubblico abusi dei diritti umani. Decine di giornalisti sono stati uccisi in Siria e molti altri anche in Messico. In Egitto amministratori di gruppi di Facebook sono stati rapiti e torturati, così come giornalisti sono stati presi di mira durante le proteste dalle forze di sicurezza.

Un terzo dei sessanta paesi invece blocca permanentemente o temporaneamente YouTube, Twitter, Facebook o altre applicazioni di stampo sociale. In questi paesi viene considerata anche l'abolizione di servizi di comunicazione come Skype, Viber e WhatsApp, tuttavia si tratta di controlli più difficili da monitorare, anche per le ripercussioni di stampo economico sugli operatori telefonici.


Il report di FreedomHouse mostra realtà di internet decisamente contrapposte fra di loro, ma che evidenziano tutte le incredibili potenzialità dal punto di vista informativo e culturale del mezzo. Un fenomeno che i regimi più autoritari cercano in qualche modo di boicottare, inasprendo nell'ultimo anno i controlli di sorveglianza online.

Il Bel Paese occupa una buona posizione dal punto di vista della censura online, alla stregua di tutti i più grandi paesi europei. Con un punteggio di 23, in cui a un numero inferiore corrisponde maggiore libertà, si pone leggermente dopo Stati Uniti, Germania e Francia, ma prima del Regno Unito.

Il rapporto completo può essere trovato in formato PDF in questo indirizzo. Ora che mi dite? Vi sentite liberi di percorrere la tela o avete paura che il ragno vi catturi e vi imprigioni, togliendovi la vostra libertà?
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mercoledì 9 ottobre 2013

La Corte d’Appello assolve manager Google

Ieri, in tarda serata, analizzando alcuni documenti giurisprudenziali con la mia ragazza, ci siamo imbattuti in una sentenza della Corte d'Appello di Milano.


Questo cosa centra con le tematiche che tutti i giorni trattiamo sul nostro blog, vi starete chiedendo. L'imputato non era un'azienda qualunque, si tratta bensì di un colosso del mondo, all'origine della filosofia di questo blog.

La sentenza risalente al 21 dicembre 2012 ha riformato la sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Milano sul noto caso Google/Vividown che aveva portato alla condanna di tre dirigenti di Google a 6 mesi di reclusione (con pena sospesa) per trattamento illecito di dati personali ai sensi dell'articolo 167 del Codice Privacy (D. Lgs. 196/2003) e alla loro assoluzione dall'accusa di diffamazione. Il caso aveva ad oggetto la diffusione sulla piattaforma Google Video, nel 2006, di un video in cui un giovane disabile di Torino veniva vessato da alcuni compagni di scuola.
In secondo grado, la Corte d'Appello assolve i manager di Google, non solo dal reato di diffamazione, ma anche dall'accusa di illecito trattamento dei dati personali:

1. Con la sentenza che qui si annota la Corte d'Appello di Milanoha assolto i manager di Google [1] per il reato di illecito trattamento di dati (art. 167 D.Lgs. 196/2003), in riforma della decisione di primo grado [2], sul punto ampiamente criticata dalla dottrina [3], confermando, inoltre, l'insussistenza del delitto di diffamazione, realizzato da un utente di Google Video e contestato agli imputati in forma omissiva, mancando in capo al provider una posizione di garanzia e poteri impedivi.
Come noto, il processo scaturisce dalla pubblicazione di un filmato sull'host Google Video che ritrae un ragazzo disabile, umiliato da alcuni compagni all'interno di un edificio scolastico; nella ripresa si sentono anche frasi ingiuriose nei confronti dell'associazione Vivi Down.
L'accusa era costruita in termini di omesso impedimento del reato altrui: il provider avrebbe una posizione di garanzia di protezione sui dati eventualmente trattati dai propri uploader, ricavabile dalle norme del codice della privacy che prescrivono l'informativa agli utenti sul trattamento dei dati (art. 13), l'autorizzazione scritta dell'interessato e quella preventiva del Garante per il trattamento di dati sensibili (art. 26) e, infine, l'adozione di speciali garanzie per il trattamento dei dati sensibili (art. 17) [4].
La decisione di prime cure aveva escluso che i manager del provider fossero gravati da una posizione di garanzia, sostanzialmente con tre argomenti: (i) l'impossibilità di ricostruire dalle norme individuate dall'accusa un generale obbligo di impedimento di reati commessi dagli utenti; (ii) l'inesigibilità di un controllo preventivo di Google Video, impossibile da un punto di vista tecnico; (iii)l'impercorribilità di un'attività di filtraggio preventivo ad opera del provider, che verrebbe trasformato in un censore e renderebbe impossibile il funzionamento della rete. Su tali basi il Tribunale aveva dunque assolto i manager dall'imputazione di diffamazione perpetrata ai danni dell'associazione Vivi down.
Discorso diverso per l'illecito trattamento dei dati. Il Tribunale, pur non riconoscendo un obbligo di verifica del provider sul contenuto dei video e, nello specifico, l'onere di controllare che gli uploader abbiano ottenuto il consenso al trattamento dei dati personali dagli eventuali interessati - onere di fatto inassolvibile, a fronte di migliaia di video caricati ogni giorno, e comunque non imposto da alcuna norma -, aveva tuttavia ritenuto che gravasse su Google «un obbligo di corretta informazione agli utenti dei conseguenti obblighi agli stessi imposti dalla legge, del necessario rispetto degli stessi, dei rischi che si corrono non ottemperandoli» [5]; obbligo derivante, secondo il Tribunale, dall'art. 13 del D.Lgs. 196/2003 oltre che dal"buon senso" [6]. I manager di Google erano stati conseguentemente condannati ex art. 167 del D.Lgs. 196/2003 per non aver avvisato gli uploader che il trattamento di dati altrui richiede il consenso: una violazione inerente l'informativa e non il consenso, riconducibile - nell'ottica del Tribunale - al perimetro dell'art. 13 [7] piuttosto che all'art. 23 [8] del codice della privacy.

2. Avverso tale decisione propongono gravame sia la pubblica accusa che le difese degli imputati.
2.1. La richiesta di riforma del P.M. ripercorre le ragioni poste a fondamento dell'esercizio dell'azione, sostenendo il dovere e la possibilità in concreto per i manager di Google di impedire gli illeciti degli uploader attraverso il ricorso a filtri già disponibili all'epoca dei fatti. Le ragioni dell'accusa sono supportate da una memoria del P.G. in cui si prospetta la possibilità di configurare una posizione di garanzia del provider derivante dall'esercizio di un'attività pericolosa [9]. Inoltre, secondo l'accusa, poiché Google Video non agisce da mero intermediario, ma sceglie quali informazioni trasmettere e secondo quali modalità, agendo dunque come c.d.host attivo, non sarebbero applicabili al provider le limitazioni di responsabilità previste dal D.Lgs. 70/2003, che escludono generali obblighi di sorveglianza e di ricerca di attività illecite realizzate dagli utenti in capo ai gestori dei servizi telematici [10].
2.2. Le difese degli imputati con gli atti d'appello e con successive memorie contestano preliminarmente la giurisdizione e la competenza del Tribunale di Milano, essendo i server della società collocati negli Stati Uniti, nonché il difetto di correlazione tra l'imputazione e la decisione in relazione all'illecito trattamento di dati, stante la difforme ricostruzione fattuale e giuridica prospettata dal decidente rispetto a quella contenuta nel capo d'imputazione.
Nel merito, le difese rilevano l'impossibilità di sussumere le condotte contestate nel capo d'imputazione nell'alveo dell'art. 167 D.Lgs. 196/2003, mancando sia l'elemento oggettivo sia quello soggettivo del reato. Segnatamente, quanto all'elemento oggettivo, rilevano che: (i) l'interpretazione del Tribunale si risolve in una doppia analogia in malam partem, giacché l'art. 167 D.Lgs. 196/2003 non richiama, tra le disposizioni di cui costituisce il presidio penale, l'art. 13 e in quanto, a tutto voler concedere, tale norma non richiede l'informativa che - secondo il decidente - Google avrebbe dovuto prestare; (ii) e che a mente della normativa interna [11] e comunitaria [12], il titolare-responsabile del trattamento è colui che decide unitamente all'interessato le modalità e le finalità del trattamento stesso, Google Video è responsabile esclusivamente dei dati degli uploader e solo questi ultimi dei dati contenuti nei filmati caricati: tra tali relazioni non sussiste alcuna "proprietà transitiva" per cui Google non assume alcuna responsabilità in relazione ai soggetti ripresi e ai loro dati personali eventualmente trattati. In punto di elemento soggettivo tre sono le critiche mosse dagli appellanti alla decisione del Tribunale: (i) non vi è prova alcuna che i manager imputati conoscessero il filmato e, a fortiori, sapessero che in esso fossero trattati dati sensibili senza consenso; (ii) il dolo specifico di profitto richiesto dall'art. 167 D.Lgs. 196/2003 è incompatibile con il dolo eventuale ("voluta disattenzione") e con la generica finalità lucrativa di Google Video descritti dal decidente; (iii) non essendoci alcun link pubblicitario collegato ai video, al momento di consumazione dell'illecito e in relazione allo specifico servizio di condivisione, il dolo specifico di profitto resterebbe privo di fondamento fattuale.

3. La Corte d'Appello supera rapidamente le questioni di giurisdizione e competenza rilevando che almeno una parte dei fatti di reato - le conseguenze dannose e il trattamento dei dati - si sarebbe realizzata in Italia e, in particolare, a Milano, sede diGoogle Italy: ciò è bastevole a fondare la giurisdizione e a radicare la competenza.

3.1. Entrando nel merito, quanto alla diffamazione nei confronti dell'Associazione Vivi Down, il Giudice d'Appello richiama per relationem le motivazioni del Tribunale in punto di radicale assenza di posizione di garanzia in capo al provider e di carenza di poteri impeditivi. La Corte si premura poi di aggiungere due precisazioni, anche in risposta alle doglianze della pubblica accusa. Segnatamente, il decidente esclude, in linea con la giurisprudenza costante di merito [13] e di legittimità [14], che si possa fondare in capo al provider una posizione di garanzia in base agli artt. 57 e 57bis c.p., in materia di stampa: una tale soluzione è preclusa dal principio di tassatività [15]. D'altro canto, anche a voler ammettere - come prospettato dal P.G. - quale fonte dell'obbligo di impedire reati altrui in capo al provider il carattere pericoloso dell'attività compiuta da Google Video [16], permarrebbe la carenza di poteri impeditivi in capo all'host provider per cui «si finirebbe per richiedere un comportamento inesigibile e di conseguenza non perseguibile penalmente ai sensi dell'art. 40 cpv. c.p.» [17].
3.2. Più complesso e innovativo l'apparato argomentativo con cui la Corte d'Appello perviene alla riforma della sentenza, in relazione all'imputazione di trattamento illecito di dati, e all'affermazione dell'insussistenza del fatto.
Il decidente prende l'abbrivio dalla qualificazione di Google Video come host attivo, cioè come provider che non si limita a memorizzare le informazioni degli utenti ma svolge un attività «non neutra rispetto all'organizzazione ed alla gestione dei contenuti degli utenti, caratterizzata anche dalla possibilità di un finanziamento economico attraverso l'inserimento di inserzioni» [18]. Secondo la Corte d'Appello, però, da tale qualifica non si può in alcun modo far discendere - come vorrebbe la pubblica accusa - un obbligo di predisporre un controllo preventivo in capo al provider, impossibile sia sotto il profilo quantitativo, per la mole di materiale caricata in rete, che qualitativo, non esistendo un filtro che verifichi semanticamente i dati sensibili eventualmente trattati nelle riprese e la corrispondente presenza di un consenso per tali dati [19]. Peraltro, continua la Corte, non sarebbe nemmeno possibile contestare in forma omissiva al provider il trattamento illecito di dati, trattandosi di reato di mera condotta, incompatibile con la clausola di equivalenza di cui all'art. 40 cpv c.p., che opera esclusivamente in relazione ai reati d'evento.
La Corte sottolinea poi la mutazione genetica del fatto tipico compiuta dal giudice di primo grado per addivenire alla condanna degli imputati: «la norma di cui all'art. 167 (...) richiede esplicitamente che l'autore del reato abbia agito non rispettando le disposizioni [ivi] indicate. E nessuna di queste disposizioni impone all'internet provider di rendere edotto l'utente circa l'esistenza ed i contenuti della legge della privacy» [20] . Ad ogni buon conto, prosegue la Corte, «l'eventuale violazione dell'art. 13, ovvero l'omessa o inidonea informativa all'interessato, testualmente non è sanzionata dall'art. 167, bensì dall'art. 161 Legge Privacy», norma quest'ultima che prevede solamente una sanzione amministrativa per la sua violazione.
Esclusa l'ipotesi omissiva propugnata dall'accusa e la ricostruzione giuridica prospettata dal Tribunale, la Corte d'Appello verifica se permangano spazi per una dichiarazione di responsabilità per illecito trattamento dei dati, ricostruendo i rapporti tra le limitazioni di responsabilità previste dal D.Lgs. 70/2003 per i provider e la disciplina sul trattamento dei dati di cui al D.Lgs. 196/2003. Il punto di partenza è la distinzione tra il rapporto che si instaura tra l'host attivo e l'uploader e tra quest'ultimo e coloro i cui dati sono trattati nelle riprese. Rileva la Corte: «la responsabilità per il trattamento dei dati è legata al mancato adempimento di specifiche condizioni che rendono lecito l'uso di tali dati, ma tali condizioni non possono che essere messe in capo al titolare, al "controller" dei dati medesimi. In effetti trattare un video, acquisirlo, memorizzarlo, cancellarlo, non può significare di per sé trattamento di dati sensibili. Esistono due distinte modalità di trattare dei dati che non possono essere, a parere di questa Corte, considerati in modo unitario» [21]. Ma se così è, allora, prosegue il giudice del gravame, «trattare un video non può significare trattare il singolo dato contenuto, conferendo ad esso finalità autonome con quelle perseguite da chi quel video realizzava. Sarà il titolare del trattamento ad avere l'obbligo di acquisire il consenso al trattamento dei dati personali» [22]. In conclusione, secondo il decidente, Google (rectius i suoi manager) non è in alcun modotitolare dei dati contenuti nei video che memorizza e mette a disposizione degli utenti.
Il rapporto tra i soggetti ripresi e il provider è, dunque,disciplinato dalla normativa sul commercio elettronico che «costituisce unitamente alla normativa sulla privacy un quadro giuridico coerente e completo, e che non può essere letta in modo alternativo ma integrato» [23]. L'host provider non ha alcun obbligo di vigilare sul materiale che si limita a trasmettere e memorizzare né alcun onere di ricercare fatti o circostanze sintomatici di attività illecite (art. 17 D.Lgs. 70/2003), ma ha il dovere di rimuovere il materiale illecito su richiesta dell'autorità o qualora abbia diretta conoscenza dell'illiceità dei contenuti memorizzati (art. 16 D.Lgs. 70/2003): tale quadro normativo esclude, ulteriormente, la possibilità di configurare una posizione di garanzia in capo aiproviders.
Dimostrata la carenza dell'elemento oggettivo del reato nella condotta contestata, il Giudice d'Appello continua il suo percorso argomentativo mostrando come nel caso di specie non sussistanemmeno l'elemento soggettivo dell'illecito. Secondo la Corte non vi è, infatti, alcuna prova che gli imputati fossero a conoscenza del filmato e del suo contenuto. Inoltre, non convince il Giudice del gravame la ricostruzione fattuale del dolo specifico di profitto, richiesto dall'art. 167 D.Lgs. 196/2003, che il Tribunale vorrebbe «costituito dalla palese vocazione economica dell'azienda Google[giacché] l'attività dell'azienda nei suoi molteplici servizi non può che essere considerata lecita e non può essere assunta a prova del dolo» [24]. Al di là del carattere imprenditoriale di Google, elemento irrilevante per l'accertamento del dolo specifico di profitto, non vi è altra prova a supporto della tesi accusatoria, «mancando qualsiasi riscontro di un vantaggio direttamente conseguito dagli imputati, in conseguenza della condotta tenuta, tanto più nell'ambito di un servizio gratuito quale era Google Video e in assenza di link pubblicitari associati allo specifico video, oggetto del procedimento» [25]. Infine, la Corte d'Appello censura la decisione del Tribunale ove ha ritenuto vi fosse «compatibilità tra la forma del dolo eventuale - individuata in capo agli imputati nella sostanza per aver serbato una "voluta disattenzione" nelle politiche societarie relative al trattamento della privacy, al fine dell'ottenimento di buoni risultati di mercato - ed il dolo specifico richiesto dalla norma» [26]. Il Giudice del gravame, uniformandosi alla costante giurisprudenza di legittimità [27], ritiene che la finalità dell'azione (dolo specifico) non possa strutturalmente essere sostenuta da una rappresentazione e da una volizione solo indiretta (dolo eventuale).

4. La sentenza annotata costituisce un importante tassello nella ricostruzione della disciplina giuridica del ciberspazio e nell'individuazione del ruolo che è ivi affidato al provider [28]. Nella vicenda Google Video si gioca, infatti, molto del futuro della rete: non sarebbe possibile l'accesso a milioni di pagine se l'host provider dovesse verificarne il contenuto prima di permetterne l'accesso agli utenti del web.
Per la Corte, ma il giudizio è pienamente condivisibile, il governo di internet e le decisioni su quali contenuti debbano accedere alla rete e quali debbano restarne fuori non possono essere lasciati ai provider: «demandare ad un internet provider un dovere/potere di verifica preventiva, appare una scelta da valutare con particolare attenzione in quanto non scevra da rischi, poiché potrebbe finire per collidere contro forme di libera manifestazione del pensiero» [29]. Come rilevato da autorevole dottrina [30] «è inquietante, in sostanza, l'idea di un privato che verrebbe incaricato di esercitare una sorta di censura per conto dell'ordinamento, avendo i mezzi tecnici ma non quelli culturali per realizzarla».
In definitiva, la Corte d'Appello rettifica la decisione di primo grado nelle sue linee, per così dire, di politica-criminale: anche qualora la rete fosse la «"sconfinata prateria di internet" dove tutto è permesso e niente può essere vietato» [31], l'host provider nonpuò esserne lo sceriffo.

[1] Segnatamente, sono tratti a giudizio i due amministratori delegati di Google Italy, il responsabile del progetto Google Video per l'Europa e il responsabile della policy per la privacy per l'Europa diGoogle Inc.
[2] Si tratta di Trib. Milano, Sez. IV, 24 febbraio 2010, n. 1972, Est. Magi, in questa Rivista, 12 aprile 2010.
[3] Si richiamano qui, in particolare, le critiche avanzate, seppur sotto profili diversi, da L. Beduschi, Caso Google: libertà d'espressione in internet e tutela penale dell'onore e della riservatezza, in Corr. mer., 2010, in particolare p. 967; R. Lotierzo, Il caso Google-Vivi Downquale emblema del difficile rapporto degli internet providers con il codice della privacy, in Cass. Pen., 2010, pp. 1288 e ss.; A. Manna, I soggetti in posizione di garanzia, in Dir. info., 2010, pp. 779 e ss. Volendo si veda anche A. Ingrassia, Il ruolo dell'internet service provider nel ciberspazio: cittadino, controllore o tutore dell'ordine? Risposte attuali e scenari futuribili di una responsabilità penale dei provider nell'ordinamento italiano, in questa Rivista, 8 novembre 2012, pp. 9 ss.
[4] Per un'ampia illustrazione della prospettiva accusatoria si veda F. Cajani, Quella Casa nella Prateria: gli Internet Service Providers americani alla prova del caso Google Video, in L. Picotti-F. Ruggieri (a cura di), Nuove tendenze della giustizia penale di fronte alla criminalità informatica, Milano, 2012, pp. 223 e ss.
[5] Così la decisione ambrosiana a p. 96.
[6] Ivi, p. 93.
[7] L'art. 13 disciplina l'informativa da dare all'interessato prevedendo specifiche comunicazioni obbligatorie.
[8] L'art. 23 disciplina i caratteri, l'oggetto, la forma e l'acquisizione del consenso dell'interessato per il trattamento dei dati personali.
[9] La tesi del P.G. recupera la ricostruzione giuridica, non coltivata dall'accusa nel giudizio di prime cure, contenuta in un parere pro veritate del Prof. Filippo Sgubbi, pubblicato in Dir. info., 2009, p. 746, richiesto dall'Associazione Vivi Down proprio in relazione alla presente vicenda.
[10] Sulle interazioni tra responsabilità penale dei providers e D.Lgs. 70/2003 si veda G. Corrias Lucente, Ma i network providers, i service providers e gli access providers rispondono degli illeciti penali commessi da un altro soggetto mediante l'uso degli spazi che loro gestiscono?, in Giur. mer., 2004, pp. 2527 e ss. In generale si veda, tra gli altri, la recente analisi di E. Tosi, La responsabilità civile per fatto illecito degli Internet Service Provider e dei motori di ricerca a margine dei recenti casi Google Suggest per errata programmazione del software di ricerca e di Yahoo! Italia per link illecito in violazione dei diritti di proprietà industriale, in Riv. dir. ind., 2012, pp. 44 e ss. Volendo A. Ingrassia, Il ruolo dell'internet service provider, cit., pp. 16 e ss.
[11] Art. 4, comma I, lett. f), D.Lgs. 196/2003.
[12] Art. 2, lettera d), Dir. 95/46/CE relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione dei dati.
[13] Si veda in particolare, Trib. Milano, 25 febbraio 2004, Est. Simi, in Giur. mer., 2004, p. 1922, con nota di F. Resta, La responsabilità penale del provider: tra laissez faire ed obblighi di controllo.
[14] Si tratta di Cass. pen., sez. V, 16 luglio 2010, n. 35511, in questa Rivista, con nota di S. Turchetti, L'art. 57 c.p. non è applicabile al direttore del periodico on line, e in Giust. pen., parte II, 2011, pp. 261 e ss., con nota di V. Spagnoletti, La responsabilità penale delprovider tra applicazione della normativa sulla stampa ed esigibilità del controllo sui contenuti di internet; si veda poi Cass. pen., sez. V, 28 ottobre 2011, n. 44126, in questa Rivista, con nota di S. Turchetti, Un secondo "alt" della Cassazione all'applicazione dell'art. 57 c.p. al direttore del periodico on line.
[15] Sostengono che l'applicazione ai providers degli artt. 57 e 57 bisc.p. si risolverebbe in un'applicazione analogica in malam partem, per cui vietata, di norme incriminatrici tra gli altri R. Flor, Tutela penale e autotutela tecnologica dei diritti d'autore nell'epoca di internet, Milano, 2010, p. 454; D. De Natale, La responsabilità dei fornitori di informazioni in internet per i casi di diffamazione on line, in Riv. trim. dir. pen. eco., 2009, p. 539 ss.; V. Zeno Zencovich, La pretesa estensione alla tematica del regime della stampa. Note critiche, in Dir. inform. e informatica, 1998, p. 16.
[16] Peraltro non è condivisa in dottrina la ricostruzione dell'attività dei provider come pericolosa. Per tutti D. Petrini, La responsabilità penale per i reati via internet, Napoli, 2004, p. 169. Dello stesso avviso F. Resta, La responsabilità penale, cit., p. 1725.
[17] Così la decisione qui annotata, p. 23.
[18] In questi termini la sentenza annotata, p. 27.
[19] È interessante riportare il passaggio della decisione a p. 30: «la valutazione dei fini di un immagine all'interno di un video in grado di qualificare un dato come sensibile o meno, implica un giudizio semantico e variabile che certamente non può essere delegato ad un procedimento informatico».
[20] Ivi, p. 29
[21] Ibidem.
[22] Ibidem.
[23] Ivi, p. 30.
[24] Ivi, p. 31.
[25] Ibidem.
[26] Ivi, pp. 31 e 32.
[27] Si veda da ultimo Cass. pen., Sez. III, 12 marzo 2008, n. 15633, in Cass. Pen., 2009, p. 3455.
[28] Si permetta di richiamare sulla stretta interrelazione tra regolamentazione (anche penale), ruolo del provider e caratteri del web A. Ingrassia, Il ruolo dell'internet service provider, cit.
[29] Così la sentenza annotata, p. 28.
[30] Così G. Fornasari, Il ruolo della esigibilità nella definizione della responsabilità penale del provider, in L. Picotti (a cura di), Il diritto penale dell'informatica nell'epoca di internet, Padova, 2004, p. 431.
[31] L'espressione, ormai nota, è contenuta nella sentenza di primo grado del presente processo a p. 95.
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