sabato 28 febbraio 2015

Android Pay

Google si appresta a lanciare una nuova API per i pagamenti chiamata Android Pay che avrà l'obiettivo, non solo di semplificare l'esecuzione dei pagamenti all'interno di app di terze parti, ma anche di diffondere i pagamenti negli store fisici, attraverso smartphone compatibili con le tecnologie NFC.


La notizia proviene da fonti "affidabili" citate da ArsTechnica a pochi giorni dall'annuncio dell'acquisizione di Softcard da parte di Big G.

Chiamata precedentemente Isis, Softcard era un'applicazione tap-and-pay, sviluppata da vari operatori telefonici americani proprio per contrastare Google Wallet. Verizon, AT&T e T-Mobile avevano fondato una joint venture nel 2010, ma l'app non è stata lanciata prima del 2012 per vari problemi di natura tecnica. I tre carrier si sono però arresi, vendendo ad un prezzo non ufficializzato le tecnologie alla base dell'app.

Google ha annunciato lunedì l'acquisizione, dichiarando di essersi appropriata di "tecnologie e proprietà intellettuali molto interessanti" detenute da Softcard. È probabile che il prezzo di vendita sia stato inferiore ai 100 milioni, una cifra ben al di sotto degli investimenti operati dalla joint venture negli anni passati. Ma questo è il momento migliore per rilanciare le tecnologie di pagamenti, e Google lo sa bene.

L'arrivo di Apple Pay sui mercati americani è stato un successo, ma non solo per la Mela. Anche i servizi concorrenti, fra cui Google Wallet, hanno beneficiato della nuova linfa portata al mercato dal servizio di pagamenti di Cupertino e Google vuole un prodotto che sia più in linea con le richieste del pubblico, rispetto all'attuale Google Wallet, soprattutto sul piano della semplicità d'uso e di implementazione.

Android Pay funzionerà per certi versi in maniera molto simile a Google Wallet: consentirà di registrare le proprie carte di credito o di debito all'interno del servizio, e darà la possibilità di effettuare transazioni all'interno di un'app o con i vari POS abilitati nei vari negozi mediante un singolo tap. Naturalmente, in quest'ultimo caso Android Pay si baserà su NFC con il supporto delle tecnologie Host Card Emulation (HCE) di Google.

Rispetto alle Google Wallet API, tuttavia, l'implementazione delle varie funzionalità di pagamento all'interno delle app di terze parti sarà molto più semplice. Android Pay, inoltre, potrebbe avere costi di gestione inferiori per Google.

Al momento, Google Wallet ha la necessità di abbinare una scheda virtuale per ogni carta di credito o debito inserita nel servizio, con la quale la società versa ai beneficiari i pagamenti degli utenti.

Si tratta di una procedura che, secondo alcune fonti, costringerebbe Google stessa al pagamento di una piccola "tassa" per ogni transazione effettuata, piccolo compromesso a cui Big G è disposta a cedere per via dei dati sensibili e delle informazioni che riesce ad ottenere dalle transazioni, dati che poi può utilizzare indirettamente per la sua piattaforma pubblicitaria.

Le nuove API potrebbero però funzionare in modo diverso, eliminando la necessità della scheda virtuale e riducendo o addirittura annullando del tutto questa particolare tassa.

Android Pay dovrebbe essere annunciato a maggio all'interno della Google I/O, tuttavia non preannuncia, almeno per il momento, la fine del servizio parallelo Google Wallet.

Nonostante i due servizi potranno coesistere, o così specificano le fonti, i risultati delle due piattaforme, come sempre, decreteranno lo standard più efficace ed efficiente.
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venerdì 27 febbraio 2015

Nuovi progetti per Lytro

I nostri lettori e gli appassionati di fotografia dal "portafogli gonfio", sicuramente conosceranno la soluzione fotografica più alternativa e tecnologicamente avanzata (sotto certi aspetti sicuramente) che il mercato offre: parliamo dei modelli Lytro.


Dopo il primo modello l'azienda ha dato continuità al progetto con Illum, una fotocamera a tutti gli effetti, dotata di ottica 30-250 mm equivalenti F2 e in grado di produrre immagini a 4 megapixel nelle quali mettere a fuoco i soggetti dopo lo scatto.

The Verge ci informa che Lytro ha adesso altri progetti, ovvero quello di sfruttare le tecnologie finora consolidate per puntare dritta al mondo dei contenuti video e nella realtà virtuale. Fresca di nuovi finanziamenti (50 milioni di Dollari), l'azienda si dice convinta che le proprie tecnologie rispondano perfettamente alle esigenze legate al mondo virtuale e alla creazione di video da integrare nei vari apparecchi indossabili, ma non solo.

Ci saranno conseguenze anche per i dipendenti dell'azienda, in quanto l'azienda ha deciso di ridurre l'organico da circa 130 a 80/105 dipendenti. Questo per far posto ad almeno altrettanti elementi focalizzati sui nuovi obiettivi.

Stando a quanto affermato da Jason Rosenthal, CEO di Lytro, chi realizza ambientazioni virtuali potrà trarre innumerevoli vantaggi dalle tecnologie del marchio, per realizzare molto più facilmente un mondo che deve essere rapportato a chi indossa un headset di realtà virtuale con tanto di giochi prospettici ed elementi più o meno a fuoco.

Anche voi pregustate già le prime novità tangibili?
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giovedì 26 febbraio 2015

Vietato l'acquisto di prodotti Apple, Cisco e di altre società USA in Cina

La Cina è senz'altro il mercato più ambito dalle Società di Tecnologia: sia il nuovo che il vecchio continente, sono mercati ormai saturi, quindi, cosa c'è di meglio di un Paese vastissimo come la Cina per far risollevare le vendite di gadget tecnologici? 


Fra le Aziende che hanno cavalcato l'onda, ci sono anche Cisco System e Apple. Però, se da un lato Apple è riuscita a entrare nel mercato cinese coi suoi dispositivi (durante l'ultimo anno), dall'altro il braccio di ferro con le autorità ha continuato ad andare avanti.

A cosa si è arrivati? A quanto pare a nulla, dato che, nemmeno la decisione di far ispezionare le sorgenti di iOS alla Cina, ha conquistato la fiducia del Paese guidato da Xi Jinping.

I dispositivi Apple, infatti, sarebbero stati ufficialmente vietati per gli acquisti delle autorità, insieme ai prodotti di altre aziende americane.

La decisione del governo cinese sarebbe maturata diverso tempo fa, sin dalle primissime rivelazioni di Edward Snowden riguardanti le attività di spionaggio dell'agenzia NSA: in seguito a queste, il numero di società estere approvate in Cina sarebbe diminuito di un terzo tra il 2012 e il 2014, rapporto che sale a due terzi nel caso di aziende produttrici di dispositivi coinvolti da problemi di sicurezza.

Un danno tutto da valutare per Apple, visto che la lista nera governativa non si applica alle autorità locali, alle aziende di proprietà dello Stato e alle forze militari, le quali hanno ognuna un proprio elenco di società approvate.

È inoltre da considerare il fatto che Apple punti sì decisamente al mercato cinese, ma non a quello relativo alle autorità, o almeno non in modo prevalente, rivolgendo la sua attenzione principalmente ai normali consumatori.

Arriverà la smentita cinese, come era successo diversi mesi fa?
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mercoledì 25 febbraio 2015

La Battery fast charge by StoreDot

Ritorniamo a parlare di batterie, uno dei nostri argomenti preferiti. Se siete nostri lettori, o semplicemente utilizzatori di dispositivi portatili, saprete quanto teniamo al tema delle batterie e della loro durata, sempre troppo breve per le esigenze di ogni giorno.


La soluzione ai nostri problemi potrebbe arrivare da una nuova start-up, che da tempo sta lavorando al progetto.

I giganti della telefonia in questo periodo fanno a gara per eccellere sulle performance delle batterie e i sistemi di ricarica rapida. Samsung ha segnato in questo senso l'ultimo salone IFA 2014 con un sistema di ricarica rapido "fast charge" (da 0 a 50 % in meno di trenta minuti).

La start-up StoreDot promette, adesso, una rivoluzione che dovrebbe fare impallidire i grandi nomi del mercato con una batteria capace di ricaricarsi integralmente in un solo minuto. Si tratta di una start-up israeliana la cui innovazione si basa sulla scoperta di una molecola specifica capace di accelerare una ricarica in tempi di record.

La messa in commercio sarebbe attualmente in discussione con dei costruttori già presenti sul mercato. La start up spera in un lancio effettivo della sua invenzione da qui al 2016.
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martedì 24 febbraio 2015

Chromebook Pixel 2.0

Ricordate il notebook top di gamma con risoluzione 2560×1700 deputato a contrastare l'omologo Apple? Parliamo di Pixel, il bellissimo e costosissimo Chromebook di fascia alta.


Se con la prima edizione, Google non ha riscontrato il successo sognato (i motivi sono svariati), ora ci riprova e con la seconda versione.

Anticipato da OMG Chrome, l'annuncio arriva sotto forma di commento di Renee Niemi di Google ad un evento chiamato Teamwork 2015 (c'era un video di un commento che, però, adesso è diventato privato).

Nel video, Niemi sottolinea che, come l'ultima volta, si tratta di una piattaforma di sviluppo, un concept, una sorta di Chromebook pensato per un pubblico di nicchia.

Non ne venderanno una gran quantità, ha dichiarato Niemi. Una specie di tacita dichiarazione che sottintende un prezzo elevato? Nella prima edizione, Pixel costava 1300 dollari.

I dettagli sugli aspetti tecnici sono attualmente scarsi, ma pare avrà una nuova porta USB Type-C, quella reversibile (gusto per far lievitare i costi).

Attendiamo nuove "rivelazioni"!
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lunedì 23 febbraio 2015

HTC M9: 5 giorni al lancio!

Anche se la data prevista per il lancio del nuovo top di gamma HTC One M9 è fissata per l'1 marzo, è inevitabile che la rete si sia data da fare per far trapelare indiscrezioni curiose. Ovviamente si tratta di pure indiscrezioni e senza conferme ufficiali rimangono tali.


Questa volta arrivano dalla Germania, in particolare dal sito Mobile Geeks, che ha pubblicato presunti render ufficiali, lista delle specifiche tecniche e prezzi. Non sono previste molte novità sul piano estetico, tuttavia HTC sembra interessata a correggere il tiro su quello che ha rappresentato il più grosso difetto di HTC One M8.

Sul fronte delle specifiche tecniche infatti spicca una fotocamera principale con sensore da 20 megapixel, che va a sostituire la UltraPixel da 4 megapixel del precedente modello, vero e proprio tallone d'Achille di uno smartphone che per molti altri versi rappresentava lo stato dell'arte della sua generazione. Sotto la scocca troveremo un processore Qualcomm Snapdragon 810 octa-core da 2GHz supportato da 3GB di RAM, 32GB di spazio d'archiviazione espandibili e una batteria da 2.900mAh.

Secondo i tedeschi One M9 (il nome non è ancora ufficiale) costerà 749 € in Germania e verrà proposto nativamente con Android 5.0 Lollipop personalizzato con la nuova Sense 7 proprietaria.

Resteranno invece invariate le caratteristiche del display, ancora una volta da 5" e a risoluzione Full HD. Si tratta di una scelta che ci sentiamo di premiare: risoluzioni superiori sono quasi del tutto inutili su diagonali così risicate, e fermarsi ai 1080p permette di guadagnare sia in performance che in efficienza energetica.

Sul piano estetico ci troviamo di fronte ad uno smartphone molto simile al suo predecessore, con una scocca in alluminio unibody sostanzialmente identica (ma colori diversi, e varianti a due toni) e tasto d'accensione spostato sul lato, come su molti dispositivi concorrenti.

Cambiano notevolmente i connotati estetici della fotocamera posteriore, che per il modello di prossima generazione sarà leggermente sporgente rispetto alla scocca, e non avrà bisogno del supporto del doppio sensore per l'aggiunta dei numerosi effetti in post-produzione tipici del precedente modello taiwanese.


Al link seguente (QUI - Mobile Geeks), l'intera gallery del nuovo HTC One M9.

Per la presentazione ufficiale, invece, dovremo attendere il Mobile World Congress di Barcellona. L'ultima indiscrezione riguarda la commercializzazione, che è attesa per il 9 aprile 2015.
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sabato 21 febbraio 2015

E se Apple acquisisse Tesla?

Numerose sono le voci di corridoio, le speculazioni e le indiscrezioni che circolano in questi giorni riguardanti il possibile ingresso di Apple, in un futuro più o meno prossimo, nel mercato delle automobili elettriche.


Ieri abbiamo anticipato la notizia tramite la nostra pagina twitter, ora cerchiamo di entrare un po' più nel dettaglio, tentando di capire quale sia l'orientamento e quali le finestre temporali del progetto made in Cupertino.

Secondo Bloomberg, Apple potrebbe aver messo insieme un team di qualche centinaio di persone per spingere la progettazione di un veicolo elettrico così che sia possibile entrare in fase di produzione per il 2020.

Partendo dal presupposto secondo il quale i produttori di automobili elettriche già presenti (Tesla e General Motors in testa) investono dai cinque ai sette anni per lo sviluppo di un'auto, si calcola che il loro rilascio dovrebbero avvenire nel 2017 e si parla di un'automobile elettrica con un'autonomia di oltre 300km per singola carica ad un costo inferiore i 40 mila dollari. Apple, alle prime armi nel settore, quanto impiegherà a fornire la sua alternativa a quelle già esistenti?

Il successo di Tesla, start-up nata nel 2003, ha dimostrato come le barriere di ingresso nel settore automobilistico siano meno difficili da superare rispetto a quanto si potesse pensare, forse solleticando l'interesse di altre realtà tipicamente estranee al settore. Anche Google, come è ben noto da tempo, sta sviluppando il proprio progetto per l'automobile a guida autonoma con investimenti considerevoli di tempo e risorse.

Voci che però hanno generato una reazione piuttosto scettica, se non addirittura canzonatoria, da parte di Dan Akerson, ex-CEO di General Motors.

Akerson ha dichiarato

Credo che qualcuno qui stia sputando una palla di pelo (espressione idiomatica traducibile con "la stia sparando grossa"). Se fossi un azionista Apple non sarei molto contento, avrei molti dubbi sulle prospettive a lungo termine dell'entrare in un mercato a basso margine e ad alta produzione. Apple dovrebbe pensare attentamente se vuole lanciarsi nella produzione pesante. Qui si prende acciaio grezzo e lo si trasforma in un'auto. Non hanno idea di cosa voglia dire entrare in questo.

In realtà le voci su Apple e Tesla hanno assunto tutt'altre sfumature nei giorni scorsi. Tutto nasce da una elaborazione (invero piuttosto azzardata) dell'imprenditore e venture capitalist Jason Calacanis, il quale sostiene che Apple, potrebbe acquisire Tesla nel futuro immediato. Calacanis, in particolare, elabora uno scenario in cui, entro 18 mesi, il gigante di Cupertino potrebbe lanciare un'offerta di 75 miliardi di dollari per portarsi in casa l'azienda di Elon Musk. Seppur le osservazioni di Calacanis possano essere in parte condivisibili, la probabilità che Apple si lanci in un'operazione di questo tipo è in realtà piuttosto bassa.

Se si osserva il modus operandi della Società della Mela, in tema di acquisizioni, si può verificare come l'azienda difficilmente si spinga oltre operazioni del valore di 500 milioni di dollari (se si esclude la significativa eccezione di Beats, con un esborso di 3 miliardi di dollari): questa filosofia permette infatti ad Apple di non dover assorbire eccessivi oneri anche in termini di beni immateriali, il che consente di esporre la compagnia a minori rischi nel caso l'operazione di acquisizione non dovesse funzionare come sperato.

Però, Tesla non vale Beats? La risposta pare evidente, non vi pare? 

Una singola acquisizione di 75 miliardi di dollari (che tra l'altro rappresenterebbe un valore triplo dell'attuale capitalizzazione di mercato di Tesla a circa 25 miliardi di dollari) getterebbe immediatamente dalla finestra anni di disciplina finanziaria, esponendo inoltre l'Azienda guidata da Cook a rischi considerevoli. Le operazioni di Tesla, inoltre, sono molto capital-intensive dato che produce direttamente veicoli e questo contrasta con la filosofia della Mela di affidarsi a numerosi produttori contrattisti.

In ogni caso pare che un team al lavoro su un progetto automobilistico (che potrebbe semplicemente riguardare uno sviluppo avanzato di Apple CarPlay) sia stato effettivamente formato a Cupertino, con numerosi dipendenti interni provenienti da altre divisioni e con un discreto numero di nuove assunzioni con figure pescate proprio da ambienti del settore automotive.

Il sito 9to5mac ha pubblicato un interessante approfondimento a tal proposito che i più curiosi potranno "spulciare".

Un'altra considerazione balza all'occhio: ricordate l'indiscrezione sulla Apple TV che avrebbe rivoluzionato l'intero settore? Ebbene, la stiamo ancora aspettando. Ora, addirittura, a Cupertino pensano addirittura a rivoluzionare quello automotive? 
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venerdì 20 febbraio 2015

EOLO: ecco come pensa di incrementare il proprio mercato

La connettività a banda larga è una realtà accessibile in molte zone d'Italia, soprattutto pensando alle grandi città, ma esistono numerosi ambienti nei quali l'accesso veloce ad Internet non sia ottenibile con le tradizionali soluzioni di connettività via cavo.


In questi casi l'utilizzo di connessioni wireless diventa una scelta di fatto unica: la diffusione di segnale 4G è ogni mese sempre più capillare ma sono altri i sistemi adottati quando si voglia assicurare elevata velocità di collegamento a postazioni fisse (abitazioni o ambienti di lavoro).

NGI, con i servizi della famiglia EOLO, mette a disposizione varie proposte di connettività senza fili. A differenza di altri operatori questa azienda, dal 2000 impegnata nella fornitura di soluzioni di connettività, ha scelto di sviluppare un proprio protocollo chiamato EOLO Wave e implementare un'infrastruttura completamente proprietaria, grazie alla quale poter avere pieno controllo del servizio fornito ai propri clienti. 

Tradizionalmente le aziende fornitrici di contenuti e gli Internet Service Provider costruiscono le proprie infrastrutture su macchine monolitiche e difficilmente modificabili acquistate da pochi grossi produttori. 

Negli ultimi anni aziende di scala globale quali Google e Facebook hanno iniziato a utilizzare apparati disegnati "in casa" sulle proprie esigenze, beneficiando di maggiore flessibilità e di una netta riduzione nei costi operativi. E' questo l'approccio dell'Open Compute Project, che prevede l'utilizzo di componenti hardware standard per sviluppare cluster di calcolo estremamente potenti e complessi. 

Il constante progresso della capacità di calcolo dei processori di uso generale, in particolare quelli basati su architetture x86 come su quelle ARM, accanto alla disponibilità di nuove tecniche di programmazione rendono quindi possibile disegnare e implementare apparati di rete su misura con un processo di sviluppo più snello ed accessibile. L'evoluzione tecnologica porta quindi ad una progressiva semplificazione nella costruzione delle infrastrutture di rete richieste ai service provider, con una sempre più forte dipendenza da quella che è l'infrastruttura software utilizzata. 

Da questo deriva l'accordo di partnership, annunciato nei giorni scorsi, che NGI ha sottoscritto con 6WIND, azienda specializzata in soluzioni software ad elevate prestazioni, e EZchip Semiconductor Ltd, per la costruzione della prossima generazione di piattaforma di routing che verrà utilizzata da NGI nella propria rete di accesso web. 

Questa scelta è legata alla visione strategica di NGI, che prevede per i prossimi anni un profondo cambiamento nell'industria delle telecomunicazioni. 

Giacomo Bernardi, CTO di NGI, indica questa prospettiva di evoluzione futura con il termine di "network softwarization"

La strategia dell'azienda non è altro che la continuazione di quanto sviluppato negli ultimi anni e che per NGI deve diventare il modo di operare degli operatori di telecomunicazione. Si tratta di passare dall'installazione e gestione della propria rete, alla sua creazione. 

Se la prima fase interna per l'azienda è stata quella di sviluppare il protocollo di trasmissione EOLO Wave, creato tenendo conto delle specifiche esigenze delle trasmissioni dati dei servizi EOLO e quindi privo di tutto l'overhead e la comlpessità di altri protocolli più general purpose come quello WiMax, è ora il momento di rivedere l'infrastruttura hardware in modo radicale. 

Giacomo Bernardi segnala come NGI stia sviluppando un router ad alte prestazioni da installare presso ciascuno degli oltre duemila tralicci della rete EOLO, con un investimento che sarà pari a 10 milioni di Euro. I vantaggi rispetto alle implementazioni attuali sono nella maggiore scalabilità, efficienza dell'uso della banda disponibile tramite bilanciamento su percorsi differenti, e nel risparmio di energia. 

La filosofia dell'azienda è però quella di rilasciare con licenza open source tutto il software sviluppato, per favorire la collaborazione con realtà simili che operino in altri paesi per fornire connettività con strumenti wireless. 

In che modo questo permetterà di avere connettività Internet veloce a chi non ha accesso a linee cablate sarà il tempo a dirlo. L'azienda mette al momento a disposizione connettività in download sino a 30 Mbit per linee domestiche e raggiunge 1 Gbit simmetrico per le aziende; i piani futuri, e da questo i radicali interventi sulla propria infrastruttura di connettività, vanno nella direzione di fornire connessioni web da 100 Mbit alle utenze residenziali sempre via trasmissioni radio. 

Niente male, soprattutto alla luce del fatto che gli operatori, attualmente, riescono a superare i 20 Mbit solo nelle grosse città, lasciando le periferie a bocca asciutta. 

Fonte: http://www.businessmagazine.it/
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giovedì 19 febbraio 2015

Carnegie Mellon: 800 ammissioni! Anzi no! Errore informatico!

Come vi sareste sentiti se al momento del test di ammissione all'università vi avessero comunicato di essere stati selezionati? Ognuno a suo modo, probabilmente avrebbe festeggiato.


E se poco dopo vi fosse arrivata una mail di smentita che si rimangiava tutto? Ebbene, è quello che è successo a ben 800 studenti americani. Il colpevole? Un errore informatico!

I poveri malcapitati sono stati informati di essere stati ammessi all'università Carnegie Mellon via email. Ma i festeggiamenti sono durati poco!

Provate ad immaginare la loro contentezza al momento dell'ammissione. Ora pensate a quanto sia stato duro dover affrontare la rettifica a mezzo email, che comunicava il rifiuto della loro candidatura a causa di un problema informatico. 

Ironia della sorte la prima mail recitava così:

Sei un privilegiato, fai parte del 9% dei fortunati selezionati tra oltre 1200 candidati. Benvenuto a Carnegie Mellon.

Oltre il danno, la beffa insomma!

La prestigiosa università si è profusa in mille scuse, incolpando il "grave bug" informatico che sta all'origine del malinteso.

Pare che le contromisure siano state già prese, assicurano, al fine di evitare che la cosa si ripeta.

Comprendiamo la delusione generata da questo errore e ci scusiamo prodondamente con i candidati per questo errore di comunicazione.

Potrà bastare una spiegazione simile a mettere pace nel cuore di quei poveri studenti? La risposta pare evidente.

Fonte: Gizmodo.fr
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mercoledì 18 febbraio 2015

HTTP 2.0 nel 2016?

Avete mai fatto caso al'incipit dell'Uniform Resource Locator (URL)? Ebbene parliamo del protocollo HTTP, ovvero una parte fondamentale di internet.


Si tratta appunto del protocollo principale utilizzato sul web per la trasmissione di dati all'interno di un'architettura client-server.

Innanzitutto, per chi non lo sapesse ancora, è l'acronimo di HyperText Transfer Protocol, secondo poi, vi sarete accorti, che dalla nascita di internet, ovvero dal 1991 con l'abbandono di ARPANET e la creazione dei primi siti internet, per come li conosciamo oggi (o quasi), la major release disponibile al pubblico non è mai cambiata, ovvero HTTP/1.0 (quella progettata da Tim Berners-Lee per intenderci). 

Mark Nottingham, presidente di IETF HTTP Working Group, ha annunciato oggi che la nuova versione del protocollo è stata finalizzata ed inviata all'RFC Editor per una revisione conclusiva. Si tratta dell'ultimo step perché l'HTML/2, su cui si è al lavoro ormai da anni, diventi realtà e venga diffuso come standard del web. Un epilogo che si prevede però lungo, e potrebbe richiedere mesi o addirittura anni per essere portato a pieno compimento.

Si tratta della prima revisione corposa del protocollo da sedici anni. HTTP/1.1 è stato adottato nel 1997, e ha ricevuto le ultime rilevanti modifiche nel 1999. Sviluppato da IETF HTTP Working Group, il nuovo standard ha come base SPDY, versione custom, già utilizzata su alcuni siti come Facebook, del protocollo sviluppata da Google per rendere più efficiente il trasferimento dei dati e sovraccaricare meno i server durante il caricamento delle pagine web.

HTTP/2 si baserà, inoltre, sulle stesse API che già conoscono e usano gli sviluppatori del web, ma in più offrirà feature esclusive, a cui questi possono attingere. Fino ad oggi, ad esempio, bisognava adottare alcune tecniche di ottimizzazione per impedire alla pagina di effettuare troppe richieste HTTP.

Il nuovo protocollo permetterà invece l'esecuzione di un numero superiore di richieste contemporanee (attraverso una tecnica chiamata multiplexing), senza che queste blocchino il caricamento degli elementi della pagina.

HTTP/2 effettua un numero di connessioni inferiore rispetto alle tecnologie attuali, fattore che si traduce con un carico minore richiesto ai server e alle reti per il caricamento dei dati. Il nuovo protocollo supporta TLS, ma non obbligherà all'implementazione del layer di crittografia.

HTTP/2 nasce naturalmente con le nuove esigenze della internet di oggi, in cui la sicurezza è uno degli aspetti fondamentali della navigazione sul web.

Originariamente avrebbe dovuto integrare TLS nativamente, ma poi si è scelto di non appesantire il protocollo con nuovi standard. Si tratta in realtà di un non problema, secondo Nottingham, che fa notare che l'efficienza e la velocità in più garantite da HTTP/2 consentiranno una più efficace installazione di varie tecniche di crittografia dei dati, fra cui TLS.

Chrome e Firefox, inoltre, hanno già dichiarato che non supporteranno HTTP/2 in assenza della compatibilità con TLS, elemento che costringerà gli sviluppatori ad implementare la tecnologia di cifratura se non vorranno lasciare scoperta l'ampia fetta di pubblico che utilizza i due celebri browser.

Una mossa indubbiamente sagace, con l'obiettivo di rendere internet più veloce da una parte, e più sicura dall'altra.

Non vediamo l'ora di provare l'effetto che fa...
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martedì 17 febbraio 2015

Telecom diventerà tim e rivedrà le sue strategie commerciali

Telecom dopo gli assestamenti dei mesi passati, ora pare voler rinfrescare la propria immagine e, per farlo, si rifà il look.


L'amministratore delegato Marco Patuano, infatti, ha confermato l'avvio delle operazioni di rebranding, che avranno fine entro il 2016, annunciando anche la semplificazione dell'offerta tariffaria e l'introduzione della bolletta mensile.

La novità più eclatante fra quelle annunciate da Patuano è naturalmente il rebranding: TIM sarà l'unico marchio commerciale utilizzato dalla società e racchiuderà sotto un unico nome l'offerta fissa, mobile e quella relativa ai servizi internet dello storico operatore italiano.

Una novità che vedrà la luce entro i prossimi due anni e che verrà portata avanti per riposizionare l'intera gamma di prodotti e servizi della società.

I risultati raggiunti hanno portato Telecom Italia a cambiare il paradigma della concorrenza, passando da un mercato in cui la competizione tra gli operatori si basava sulla cosiddetta guerra dei prezzi a un mercato caratterizzato invece dalla qualità dei servizi e soprattutto dalla piena disponibilità di una rete ultrabroadband per usufruire di prodotti innovativi

ha detto Patuano durante l'incontro.

In quest'ottica, infatti, Telecom Italia lancerà i piani di semplificazione tariffaria discussi. Dal 1° maggio infatti introdurrà un'offerta flat anche a disposizione degli utenti di telefonia fissa, Tutto Voce, che comprende chiamate illimitate verso fissi e cellulari nazionali a fronte di un'unica spesa pari a 29€ mensili. A questa si affiancherà Tutto, che prevede, oltre i servizi di Tutto Voce, anche un abbonamento ADSL flat. Il tutto ad un costo di 44,90€ al mese.

Inoltre, per incentivare l'uso di internet tramite rete fissa, Telecom Italia introduce una nuova iniziativa: chi è cliente dell'operatore da oltre 10 anni avrà diritto ad un anno di abbonamento internet ADSL gratuito, mentre chi già dispone di internet potrà usufruire alle offerte in fibra ottica della società senza alcuna spesa aggiuntiva per dodici mesi.

Telecom proporrà naturalmente anche offerte a consumo che prevedono un costo di abbonamento base di 19€.

La società specifica che i nuovi prezzi non verranno applicati alle utenze che già oggi utilizzano specifiche offerte a "pacchetto" o che beneficiano di condizioni agevolate. Le novità sono accompagnate da una nuova bolletta, che per offrire una maggiore trasparenza non verrà più inviata su base bimestrale, ma ogni mese.
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lunedì 16 febbraio 2015

Carbanak: il "furto del secolo"

Era cominciato tutto con gli assalti alla diligenza, proseguiti poi con le rapire alle banche di Bonnie e Clyde. Successivamente arrivarono i ladri creativi di Ocean's Eleven che, con le loro azioni sfrontate, misero a segno il colpo del secolo al casinò di Willy Bank.  


Era il 2007 e la tecnologia si è evoluta parecchio da allora: inutile dire che anche i modi di truffare si sono aggiornati! 

E' proprio di questo che parliamo oggi: era il 2013, quando a Kiev, un bancomat di una banca inizia a dispensare banconote in modo apparentemente casuale durante la giornata, senza che nessuno abbia interagito con lo sportello automatico. Le videocamere di sorveglianza mostrano quelli che sembrano essere fortunati passanti, trovatisi con una buona dose di "fortuna" nel posto giusto al momento giusto, raccogliere le banconote generosamente elargite da una qualche divinità elettronica temporaneamente di buon umore.

Questo episodio è in realtà è solo la punta dell'iceberg di un sofisticato attacco informatico avvenuto tramite un malware, Carbanak, che ha permesso ad un gruppo criminale, composto da Europei, Russi e Cinesi, di mettere a segno quello che passerà probabilmente alla storia come il più grande furto bancario dell'era digitale, avvenuto senza gli abituali tratti distintivi che caratterizzano le rapine.

Sul caso è stata chiamata ad indagare la società di sicurezza Kaspersky Lab, che ha rilasciato in anteprima un resoconto della propria indagine (omettendo ovviamente tutte le informazioni sensibili, come i nomi degli istituti bancari e finanziari coinvolti) al New York Times.

Secondo la società di sicurezza sono state attaccate in questo modo oltre 100 tra banche ed istituti finanziari in 30 diversi Paesi.

Ancor difficile, per ora, quantificare il bottino: vi sono prove di un furto di circa 300 milioni di dollari, ma il malloppo complessivo potrebbe essere addirittura il triplo di quanto computato fino ad ora. La quantificazione potrebbe essere più ardua che mai, dal momento che i furti sono stati numerosi, distribuiti e di vario ammontare, spesso con somme relativamente modeste per evitare di innescare sistemi di controllo e verifica automatizzati.

Un attacco che è iniziato come molti altri. I criminali hanno inviato alle vittime designate, in questo caso gli impiegati degli istituti colpiti, mail infette nascondendosi dietro un mittente "amico" della vittima. Quando l'impiegato della banca ha aperto l'email, ha scaricato inavvertitamente un malware che ha permesso ai criminali di battere a tappeto la rete delle varie banche fino all'individuazione degli impiegati responsabili dell'amministrazione del sistema di trasferimento fondi e dei dispensatori automatici.

A questo punto gli hacker hanno installato un RAT (remote access tool) in grado di catturare screenshot e video dei computer degli impiegati.

L'obiettivo era imitare il loro modus operandi. In questo modo tutto sarebbe apparso come una transazione ordinaria

ha osservato Sergey Golovanov, che ha condotto l'indagine per Kaspersky Lab.

I criminali hanno quindi investito molto tempo per imparare le modalità proprie di ciascun istituto bancario aprendo nel frattempo conti bancari fantocci in USA e Cina che fungessero da destinazione per i trasferimenti.

Secondo alcune informazioni pare che i conti siano stati aperti presso J.P.Morgan Chase e Agricultural Bank of China, ma nessuno dei due istituti ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione.

Dopo un periodo di tempo dai due ai quattro mesi, i criminali hanno deciso di monetizzare il proprio "investimento", percorrendo molte strade: in alcuni casi sono stati sfruttati i sistemi di online banking per trasferire soldi sui loro conti, in altri casi hanno forzato il dispensatore automatico delle banche a distribuire soldi che sarebbero poi stati raccolti da un complice in attesa.

Le somme più consistenti sono però state sottratte penetrando il sistema dei conti di una banca e manipolando velocemente i bilanci dei conti. Usando le credenziali di accesso ottenute impersonando i funzionari della banca, i criminali gonfiavano artificiosamente il saldo di un conto per poi effettuare il trasferimento di fondi voluto: da 1000 a 10000 dollari ad esempio, per trasferirne 9000 al di fuori della banca. In questo modo il titolare del conto non sospetta alcun problema e la banca può impiegare molto tempo prima di accorgersi del raggiro.

Abbiamo scoperto che molte banche effettuano un controllo sui conti solamente ogni 10 ore, quindi nel frattempo è possibile cambiare numeri e trasferire soldi

ha spiegato Golovanov.

Una tecnica con un tasso di successo impressionante: un istituto bancario ha perso 7,3 milioni di dollari tramite un solo prelevamento ATM, mentre in un altro caso 10 milioni di dollari sono stati sottratti sfruttando il sistema dei conti. Il responsabile di Kaspersky North America, Chris Dogget, ha osservato:

E' il più sofisticato attacco che il mondo abbia visto fino ad ora in termini di tattiche e metodi usati dai cybercriminali per restare nascosti.

I principali bersagli del colpo sono stati in Russia, Giappone, USA ed Europa. Sebbene nessuna banca si sia fatta avanti nel notificare il furto, l'FS-ISAC (il consorzio di settore che a livello globale condivide informazioni sul minacce fisiche e digitali nei confronti di banche ed istituti bancari) ha dichiarato in un comunicato di avere avvertito i propri membri di questa attività criminale.

Il silenzio attorno alla vicenda può essere in qualche modo motivato dall'usuale riluttanza delle banche a diffondere informazioni e notizie sulla violazione dei propri sistemi e in parte per il fatto che gli attacchi sembrano essere ancora in corso.

Alla luce di tutto ciò, diteci, siamo sicuri che gli uomini del team Ocean si fossero cimentati in un piano poi così ambizioso? 
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sabato 14 febbraio 2015

Cimeli dell'Apollo 11 trovati a casa Armstrong

Anche se sono ormai trascorsi 45 anni dalla spedizione, la Missione Apollo 11 non smette di fare notizia. 


Questa volta non si tratta però di dati scientifici, bensì degli oggetti della missione che sono stati ritrovati a casa di Neil Armstrong: un sacco pieno di accessori utilizzati durante la celebre missione Apollo 11 è stata ritrovato a casa del primo uomo che ha camminato sulla Luna, l'astronauta Neil Armstrong.

Il sacco, rimasto intatto in uno degli armadi dell'abitazione, è stato ritrovato dalla vedova di Armstrong, la signora Carol Armstrong, che lo ha subito mostrato ad Allan Needell, curatore del National Smithsonian Museum dell'Aria e dello Spazio, che ha parlato di ritrovamento inestimabile.

Anche se non si tratta di tecnologia aliena, e nemmeno di tecnologia all'avanguardia, è pur sempre tecnologia: peraltro parte integrante della storia moderna!

Nello specifico, il sacco contiene uno specchio, una chiave inglese, un punteruolo, ganci e un cavo di alimentazione e i due pezzi più impressionanti. La telecamera da 16mm utilizzata per registrare gli astronauti sulla Luna e un cavo per le uscite di emergenza nello Spazio.

A seguire le immagini dei cimeli ritrovati in casa Armstrong:




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venerdì 13 febbraio 2015

Xiaomi pronta per conquistare l'Occidente

Apple, Samsung, HTC e Sony, ma forse le sorprese più grandi, ce le riserveranno i nuovi colossi cinesi.


E' ormai evidente l'immenso potenziale delle aziende cinesi come Lenovo e la stessa Xiaomi, oggetto del nostro post di oggi.

L'ex di Google, Hugo Barra, ha rivelato ufficialmente i piani di quest'ultima per il mercato occidentale. Il produttore cinese si appresta ad aprire uno store Mi.com negli Stati Uniti, in cui inizialmente verranno commercializzati solamente accessori, come auricolari o fitness band. Il negozio virtuale sarà lanciato entro la fine dell'anno, ma non ci sono piani per la vendita dei celebri smartphone della società per il prossimo futuro.

Quello che sembra un primo timido approdo sul suolo occidentale da parte di Xiaomi, potrebbe avere dietro un piano ben più solido e definito. Se da una parte la vendita di accessori non è comparabile al mercato degli smartphone, dall'altra è ormai evidente che Xiaomi sta puntando agli USA, e la vendita di accessori non potrebbe essere che una prima pallida mossa per un più vasto piano d'assedio nei mercati occidentali.

Bisogna riconoscere a Xiaomi un notevole coraggio nel proporre dispositivi assolutamente comparabili ai top di gamma di Samsung e HTC a prezzi notevolmente inferiori.

I cinesi puntano a guadagnare sull'ecosistema che sussiste intorno agli smartphone venduti, grazie ad una piattaforma che almeno in Oriente è stata in grado di reggersi da sola e a produrre proventi per la società.

A prescindere dalle qualità intrinseche dei prodotti, però, è difficile prevedere la reazione del pubblico occidentale agli smartphone cinesi.

Dopo alcune società, come Huawei, adesso anche Xiaomi prova a conquistare il mercato occidentale, ma al momento è molto difficile prevedere quale sarà il futuro del brand che, anche se è stato in grado di mettere sotto scacco Apple e Samsung in Cina, potrebbe faticare molto per ottenere risultati paragonabili anche fuori dai propri confini nazionali.

Riuscirà la Cina ad allontanare da sé il luogo comune (il più delle volte suffragato da prove inequivocabili e incontrovertibili) che la vorrebbe fabbrica dei cloni? Riuscirà ad imporsi per i suoi prodotti qualitativamente all'altezza della concorrenza?
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giovedì 12 febbraio 2015

Google + Microsoft combattono i casi di falsi positivi rilevati dagli anti-virus

La notizia di oggi combina la tecnologia alla statistica e unisce due colossi che non anno bisogno di presentazioni: Google e Microsoft.


In una sola settimana e con l'apporto di MS, VirusTotal (acquistata due anni fa dalla Società di Mountain View) è riuscita a individuare ed eliminare 6 mila casi di risultati falsi positivi valutati dai più comuni software anti-virus.

Le due Società sono state protagoniste di recente di una particolare vicenda. Big G e la sua divisione di sicurezza Project Zero avevano scoperto una vulnerabilità sul software operativo di Redmond, notificandolo alla società. Nessun fix è stato rilasciato dopo 90 giorni, fattore che ha costretto Google a pubblicare l'exploit in modo da affrettare le procedure per il rilascio di una "patch lenitiva".

Le due società si trovano adesso a lavorare insieme nel tentativo di offrire un complemento all'analisi euristica dei più recenti software anti-virus. Attraverso quest'ultima, è possibile che i tool di sicurezza riconoscano come malware file che in realtà sono del tutto legittimi. Quando questo avviene con file sensibili appartenenti allo stesso sistema operativo si possono provocare danni difficili da riparare, se non con il classico format riparatore.

Andando a manipolare alcuni file, l'anti-virus può infatti compromettere prestazioni e stabilità della macchina, o addirittura inibire lo stesso avvio del sistema operativo. In più, l'errata interpretazione di un file può di fatto portare a malfunzionamenti anche del software installato, con ripercussioni sensibili nell'esperienza d'uso.

Microsoft e Google si riappacificano, quindi, dopo lo strano caso delle ultime settimane?

Le due cose in realtà appaiono ancora separate: VirusTotal è di Google, ma ha specificato più volte che lavora in maniera indipendente, mentre il prossimo obiettivo è ottenere la grazia di Apple e cooperare per lo stesso fine su Mac OS X.

VirusTotal ha già rilasciato il suo software di sicurezza sui sistemi della Mela ma, considerato il modus operandi in quel di Cupertino, non speriamo molto su un'eventuale collaborazione fra le due parti.

Dopo la notizia di ieri, e riportata anche da Tecnodiary2, siamo sempre più convinti che Microsoft sottovaluti i casi di vero positivo o, ancor peggio, non sia in grado di farvi fronte.
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mercoledì 11 febbraio 2015

Bug Windows corretto dopo 1 anno dalla segnalazione e dopo 15 anni dalla nascita

Nelle scorse ore Microsoft ha rilasciato una patch critica di sicurezza per ogni versione supportata di Windows.


Una delle solite vulnerabilità del sistema progettato da Microsoft? Questa volta no, in questa occasione la patch va a correggere una vulnerabilità che potrebbe essere rimasta attiva per circa quindici anni. 

Sfruttando la falla, chiamata Jasbug, un ipotetico aggressore avrebbe potuto eseguire codice da remoto su un dispositivo Windows collegato ad una rete attraverso un dominio Active Directory.

La stessa Microsoft ha precisato le modalità in cui può avvenire l'attacco: chi lo esegue può dirottare un client ad una rete personalizzata, ad esempio in un contesto pubblico, costringendolo a scaricare un file Login.bat modificato ad-hoc. L'aggressore può inserire nel file codice che abilita l'esecuzione di codice malevolo, con il preciso intento di ottenere il controllo della macchina o eseguire altre azioni.

Jasbug è pubblico da più di un anno, ma potrebbe essere disponibile come vulnerabilità da circa 15 anni. La scoperta risale al gennaio 2014, quando JAS Advisors l'aveva riportata a Microsoft. 

Il gigante di Redmond ha impiegato circa 13 mesi per effettuare la correzione, nello specifico perché coinvolgeva parti cruciali del codice di Windows e non si trattava esclusivamente di un problema di implementazione.

Tutti i computer membri collegati a reti Active Directory possono essere a rischio secondo i ricercatori che hanno scoperto il bug:

Se l'attacco venisse portato a compimento, gli esecutori potrebbero ottenere il pieno controllo della macchina, installare applicazioni e creare nuovi account utente.

Microsoft ha rilasciato nelle scorse ore una patch su Windows Update, ma la semplice installazione non basta. La società rimanda gli amministratori a questo indirizzo per ottenere ulteriori informazioni su come proteggere i loro domini di rete contro un eventuale attacco.

Alle buone notizie ne segue purtroppo una non altrettanto buona: Microsoft non ha rilasciato, né lo farà mai, un fix per Windows Server 2013, versione il cui supporto cesserà definitivamente fra pochi mesi.

Il codice su cui si basano le correzioni, infatti, non sembrerebbe compatibile con la particolare versione di Windows, che rimarrà vulnerabile a tempo indeterminato allo sfruttamento di Jasbug. Le problematiche non dovrebbero invece coinvolgere in maniera diretta l'utente consumer, tuttavia l'installazione della patch resta comunque consigliabile su tutti i sistemi supportati.

Insomma, la nostra privacy e la sicurezza dei nostri dati è delegata a Società che tacciono per decenni su le falle dei loro software! Non che questa sia una novità, è evidente, ma tacere il tutto per quindici anni, mi pare davvero troppo, non trovate?
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martedì 10 febbraio 2015

OnePlus One cambia la strategia degli inviti

Avete presente lo smartphone più ricercato dell'universo nerd? Ebbene ci potrebbero essere delle novità interessanti a riguardo: il produttore cinese OnePlus, infatti, avrebbe deciso di snellire la procedura di acquisto.


A partire da oggi il dispositivo sarà disponibile anche senza invito, ma solo di martedì. Nelle 24 ore del secondo giorno di ogni settimana OnePlus One sarà acquistabile da tutti gli utenti, anche quelli che non si sono sottoscritti al particolare sistema pensato dal nuovo brand cinese.

In Italia, la particolare finestra verrà lanciata alle ore 9 di mattina e continuerà per tutte le 24 ore successive. In questo periodo sarà possibile acquistare sia la versione Silk White da 16GB, che la più appetibile Sandstone Black da 64GB di storage integrato. Nelle 24 ore di martedì non ci sarà alcuna restrizione o clausola particolare per l'acquisto.

Restano invece invariati i termini per i restanti giorni della settimana, in cui OnePlus continuerà a proporre il suo atipico sistema ad inviti. Il passaggio alla nuova strategia avviene sostanzialmente in maniera graduale, fattore che evidenzia come la società stia ancora affrontando problemi in fase produttiva e non riesca a soddisfare la domanda dei propri utenti.

Del resto OnePlus One è indubbiamente una delle rivelazioni dell'anno nel settore degli smartphone, sia per il rapporto qualità-prezzo semplicemente impareggiabile, che per un livello qualitativo generale molto elevato.

Basato su una CyanogenMod e su hardware di primo livello, è in grado di rivaleggiare con concorrenti dal costo tre volte superiore. OnePlus One ha occupato, inoltre, la prima posizione nella nostra graduatoria annuale dei migliori smartphone del 2014, che potete leggere a questo indirizzo.
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lunedì 9 febbraio 2015

Forbes: Samsung farà la fine di Nokia!

Motorola ha annunciato ottimi risultati finanziari nell'ultimo trimestre del 2014, il primo dall'acquisizione da parte di Lenovo e sull'onda dell'entusiasmo, si è anche lanciata in dichiarazioni piuttosto forti.


La società americana ha venduto oltre 10 milioni di smartphone con un aumento del 118% su base annuale e con la previsione di tornare in profitto in un anno o poco più. Giocherà una parte notevole in questo piano il lancio di Moto G, Moto X e Moto X Pro in Cina.

Nel territorio asiatico Motorola dovrà scontrarsi con Apple e Samsung, ma anche con i sempre più agguerriti competitor locali, come Xiaomi o Huawei. Ma non sembra che la questione faccia paura ai vertici di Motorola.

E qui, torniamo all'apertura dell'articolo: Rick Osterloh, Chief Operating Officer di Big G, ha infatti dichiarato a Forbes di essere particolarmente convinto che la società possa competere sul piano dell'importanza con i più grandi concorrenti.

La forza di Motorola, secondo Osterloh, è nella sua capacità di palesarsi come alternativa dal miglior rapporto qualità-prezzo agli altri brand premium:

Ogni sette anni, il nome che si trovava nella più alta posizione del mercato è andato via [...] Stiamo attraversando uno di quei passaggi affascinanti in cui la gente inizia a capire che non ha bisogno di pagare 600 dollari per avere un'esperienza di fascia alta

ha dichiarato un sicuro Osterloh alla rivista americana.

Secondo il Forbes, l'implicita riflessione di Osterloh è rivolta a Samsung, che potrebbe fare la stessa fine di Nokia (adesso Microsoft) e BlackBerry che prima dei coreani detenevano le prime posizioni del mercato, e adesso sono relegati ad una parte poco rilevante dello stesso.

Dopo l'acquisizione di Google, Motorola è rimasta attiva solamente in dieci mercati. Adesso è di Lenovo e vende smartphone in circa cinquanta mercati, con l'obiettivo di espandersi ulteriormente nel 2015.

Nel prossimo futuro la società potrebbe annunciare un dispositivo con Snapdragon 810 e i successori di Moto G e Moto E per le fasce più basse del mercato.

Nonostante la qualità degli ultimi dispositivi sfornati, tuttavia, le riflessioni di Osterloh ci appaiono ad oggi a dir poco avventate: Motorola ha volumi di mercato irrisori rispetto a Samsung che, nonostante gli ultimi trimestri non proprio sorprendenti, è ancora oggi il primo produttore Android nella maggior parte dei paesi in tutto il mondo, e spesso con notevoli margini dal secondo.

Staremo a vedere!
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sabato 7 febbraio 2015

#XAgent: a rischio i dati degli utenti iOS per uno spyware

L'ecosistema chiuso che ha creato Apple per i propri iPhone e iPad si è rivelato parecchio efficace nel tempo, anche se sappiamo bene che nell'ambito informatico la sicurezza al 100% è un'utopia.


Un nuovo tipo di spyware, infatti, si anniderebbe all'interno di alcune pagine web e, una volta scaricato e installato su un dispositivo iOS, potrebbe accedere e inviare a server remoti parecchie informazioni sensibili contenute nel dispositivo.

XAgent, questo il nome del malware, è parte della campagna "Operation Pawn Storm", scrive TrendMicro, un'operazione di "cyber-spionaggio" industriale con fini economici e politici che punta ad ottenere dati sensibili da governi, agenzie militari, industrie della difesa, organi mediatici. Si tratta, in sostanza, di una versione specifica per iOS del malware noto come SEDNIT compatibile invece con ambienti Windows.

Attivando il microfono da remoto, inoltre, l'utente malintenzionato può ricevere anche registrazioni audio da parte del dispositivo infetto.

L'obiettivo più ovvio di spyware analoghi a SEDNIT è quello di rubare dati personali, registrare audio, effettuare screenshot e mandare tutti i dati ad un server command-and-control (C&C) remoto.[...] Al momento in cui scriviamo, il server C&C contattato dal malware iOS è attivo

scrive TrendMicro sul suo comunicato.

Ma si tratta davvero di un pericolo per l'utente di iPhone e iPad? Si, ma solo in parte e, come al solito, è necessario prestare un grado di attenzione minimo per aggirarlo, oltre a un pizzico di buon senso che non guasta mai quando si naviga online.

Il malware può essere contenuto all'interno di una pagina web e installato attraverso subdole pratiche di phishing. Prima dell'esecuzione, tuttavia, iOS notificherà l'utente dell'avviamento del processo, richiedendo una conferma. Si tratta di una di quelle schermate di notifica a cui spesso l'utente meno attento presta poca attenzione, accettando senza in realtà conoscere, né capire, cosa sta dietro a quella richiesta. Ed è così che lo spyware attecchisce sul sistema, con un comportamento sensibilmente diverso in base alla versione del sistema operativo in uso.

Su iOS 7, scrive la società di sicurezza, l'icona dell'applicazione è nascosta e, se terminato il processo, questo si riavvia.

Diverso il discorso su iOS 8 in cui l'icona viene mostrata regolarmente e il processo non si riavvia in seguito alla chiusura.

L'aspetto positivo per gli utenti è che la procedura di installazione non avviene automaticamente [...] Ci sono infatti dei passaggi che l'utente deve seguire per portarla a termine

ha dichiarato Jon Clay durante un'intervista a Macworld.

Ce n'è per tutti insomma, non scappa nessuno dalle insidie della rete.
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venerdì 6 febbraio 2015

Anche Swatch avrà il proprio "smartwatch". Novità? Niente ricarica!

Se ormai sappiamo quasi tutto degli smartwatch che riempiono gli scaffali degli store di elettronica, e siamo ormai stanchi di attendere il nuovo device Apple, nel panorama wearable, fa capolino un nuovo player.


Anche Swatch presenterà nei prossimi due o tre mesi il proprio smartwatch, almeno secondo quanto dichiarato da un portavoce della società.

Si tratta di un modello probabilmente molto simile ad un orologio tradizionale, dotato solamente di alcune delle funzionalità tipiche dei prodotti della categoria. In questo modo Swatch punta a risolvere uno dei più grossi limiti della categoria: quello della durata della batteria.

Lo smartwatch di Swatch, infatti, non avrà bisogno di essere ricaricato, mai. Si tratta di una frase che desta molta curiosità e suscita qualche dubbio: le dichiarazioni mancano di dettagli più specifici, ma è tuttavia probabile che l'orologio integri un sistema di generazione di energia sulla base dei suoi movimenti. Si tratta di tecnologie già esistenti ma che ad oggi non riuscirebbero ad alimentare uno smartwatch tradizionale.

"Swatch lancerà una nuova generazione del suo smartwatch nei prossimi due o tre mesi", sono le parole che la società ha divulgato per mezzo di TNW. "Avremo funzioni di comunicazione, pagamenti in mobilità nei negozi, e potrà essere gestito attraverso app esterne compatibili con Windows e Android. Il tutto senza la necessità di essere ricaricato". Non è stata fatta alcuna menzione riguardo a dispositivi iOS, che potrebbero non essere compatibili con l'orologio svizzero.

Un annuncio che arriva proprio in seguito ai primi rumor sulla ridotta autonomia di Apple Watch, e parecchi mesi dopo le frecciatine di Jony Ive a riguardo della possibilità di mandare in crisi l'intero mercato svizzero (paese a cui appartiene Swatch) relativo alla vendita degli orologi con il proprio Watch. Lo smartwatch di Swatch debutterà durante lo stesso periodo del prodotto della Mela, segnale che gli svizzeri non hanno paura degli americani.

Swatch Touch, ovvero il nuovo modello dell'omonima e già esistente famiglia di orologi, sarà invece un prodotto diverso e vedrà la luce nella fine del mese di febbraio.
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giovedì 5 febbraio 2015

Le voci sulla Apple Tv tornano all'attacco!

Se molti di voi, avranno ormai abbandonato l'idea di una televisore Apple appeso alle pareti del proprio salotto, forse con questa voce di corridoio...


Pare che a Cupertino si stia tentando, concretamente, di trovare la soluzione per fornire contenuti per il piccolo schermo.

Stando a quello che riporta Re/Code, Apple è in trattative con programmatori televisivi per realizzare il suo servizio di pay-TV. Pare, infatti, che Apple voglia mettere insieme diverse offerte di programmi, ma come sottolinea ancora il sito, "non l'intera offerta che di solito i fornitori di pay-TV hanno".

Non è la trasformazione tecnologica della TV che Apple sognava in passato, bensì una sorta di ridefinizione di come la TV funziona oggi, diffusa via Internet tramite l'hardware e il software di Apple, con l'interfaccia e l'esperienza utente che ci aspettiamo dai "ragazzoni di Cupertino".

Re/Code riporta che Apple ha già mostrato il nuovo servizio Apple TV, ma le stesse fonti spiegano che le trattative sono ancora "allo stadio iniziale", il che significa che per ora possiamo dimenticarci qualsiasi dettaglio su prezzi o disponibilità, oltre ovviamente alla conferma concreta della notizia stessa.
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mercoledì 4 febbraio 2015

Fastweb risponde ufficialmente sui disservizi di lunedì scorso

Gli utenti lombardi (o almeno una parte di essi) che usufruiscono del provider Fastweb, nella serata di lunedì, si sono trovati di fronte ad un blackout inspiegabile della linea.


Dopo le prime dichiarazioni lacunose, oggi, Fastweb ha inviato un comunicato ufficiale, spiegando in maniera più dettagliata quanto successo e scusandosi con i propri clienti.

Stando alle nuove informazioni divulgate pubblicamente, sono stati 7.000 gli utenti lombardi coinvolti dal "black-out" (la nostra redazione fra questi!) delle reti telefoniche e internet, utenti che la società ha subito trasferito su un altro server.

Allo stesso momento però, l'operatore telefonico ha dovuto affrontare il mancato funzionamento dei servizi MyFastPage, FastMail e fastweb.it, rimasti spenti fino alle prime ore della nottata. Twitter e Facebook sono stati gli unici mezzi a disposizione degli utenti per comunicare con Fastweb, ma i servizi social hanno contribuito ad esasperare una situazione già difficile, offrendo un quadro esagerato sulla reale portata del servizio.

Fastweb conferma che dalle 3 di martedì tutti i servizi d'assistenza della società sono regolarmene in funzione, e fa anche luce sulle cause che hanno portato al black-out di lunedì: nel comunicato si legge di problemi "non imputabili direttamente" a Fastweb e "dipesi da un aggiornamento software".

I problemi insorti nelle reti telefoniche ed internet, invece, hanno riguardato solo un "nucleo di utenti in Lombardia".

Riportiamo di seguito il comunicato per intero rilasciato dall'operatore telefonico:

Ci scusiamo per i disservizi che hanno impedito il corretto funzionamento del nostro servizio clienti di call center e del nostro sito nel tardo pomeriggio di ieri [lunedì].
Tali problemi, che non sono imputabili a noi direttamente in quanto dipesi da un aggiornamento software, sono stati risolti progressivamente nel corso della notte.
Dalle 3 di questa mattina [martedì] i servizi di call center e del nostro sito sono infatti regolarmente in funzione.
In merito ad alcune notizie riprese da organi di stampa e website, ribadiamo fortemente che nel corso del guasto non sono mai venuti meno per gli oltre due milioni di clienti il servizio di accesso a Internet e la navigazione e ci tuteleremo in tutte le sedi opportune se qualcuno affermasse il contrario. Confermiamo inoltre che non c'è stato alcun disservizio per la pubblica amministrazione e per i grandi clienti privati.
Solo un nucleo di utenti in Lombardia, circa 7000 clienti, ha avuto difficoltà di navigazione e sono stati immediatamente migrati e riprotetti su un altro server.
Ci scusiamo per il disagio arrecato, abbiamo fatto tutto il possibile per ripristinare i servizi nel più breve tempo possibile e continueremo a lavorare con passione e impegno per erogare servizi di qualità ai nostri clienti che costituiscono il nostro vero patrimonio insieme alla nostra rete e all'innovazione.

Ci teniamo a sottolineare che, fra gli utenti dislocati sulla rete lombarda ci siamo pure noi di Tecnodiary2. Sottolineamo che il problema è perdurato per più di 4 ore, con un impedimento totale della navigazione.

Ci fa piacere che pubblica amministrazione e grandi clienti privati si siano salvati dal blackout, ma i 7000 utenti isolati "pretendono" lo stesso trattamento!
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martedì 3 febbraio 2015

Sony Online Entertainment diventa Daybreak Game Company

Ancora un colpo ben assestato ai danni di Sony. Chiamiamola pure scelta strategica, in ogni caso, anche la divisione  Sony Online Entertainment passa di mano e abbandona il capezzale della casa madre nipponica, in favore della società d'investimenti Columbus Nova.


Acquisirà il nome di Daybreak Game Company e continuerà a operare come studio di sviluppo indipendente.

Ecco come ha commentato la notizia John Smedley, futuro presidente di Daybreak Game Company.

Siamo molto felici di far parte del vasto elenco di compagnie di Columbus Nova. Hanno una comprovata esperienza in settori analoghi e per questo vogliamo andare avanti per vedere come possiamo migliorare il gioco online.
Continueremo a concentrarsi sulla realizzazione di giochi eccezionali per i giocatori di tutto il mondo, e a portarli su nuove piattaforme, seguendo lo schema multi-piattaforma [...] Non vedo l'ora di fare dei giochi per Xbox One

ha aggiunto Smedley su Twitter.

Tutti i progetti attuali, tra i quali H1Z1, DC Universe Online ed EverQuest Next, verranno portati avanti come studio indipendente.

Sony Online Entertainment, recentemente ribattezzata Daybreak, è una grande aggiunta al nostro portafoglio esistente di studi tecnologici e di società di intrattenimento. Vediamo enormi opportunità di crescita attraverso l'offerta multi-piattaforma e con i nuovi giochi come H1Z1 e l'attesissimo EverQuest Next

ha commentato Jason Epstein, Senior Partner di Columbus Nova.

Non si hanno dettagli sui termini economici dell'operazione di vendita, ma non sembra affatto casuale il momento dell'annuncio: è infatti arriva all'indomani dell'uscita della versione Early Access di H1Z1 che ha scatenato non poche polemiche.
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