mercoledì 14 maggio 2014

Corte di Giustizia Europea ammonisce Google: il diritto all'oblio di internet è sacro

Udite, udite: la Corte di Giustizia europea ha riconosciuto il diritto all'oblio su Internet e ha stabilito che Google, su richiesta degli utenti, deve cancellare i risultati di ricerca "irrilevanti" o datati.


Il "diritto a essere dimenticati", secondo la Corte di Giustizia, sussiste quando le informazioni presenti sul motore di ricerca sono "inadeguate, irrilevanti o non più pertinenti", oppure legate a un episodio di molto tempo prima.

Tutto il putiferio sopra riportato, nasce da una situazione apparentemente comune e risale al 2010. Il caso vede da una parte un cittadino spagnolo e dall'altra il quotidiano "La Vanguardia", Google Spain e Google Inc.

Quando il nome del cittadino spagnolo veniva ricercato su Google, l'elenco dei risultati mostrava dei link verso due pagine del quotidiano che annunciavano una vendita all'asta di immobili organizzata a seguito di un pignoramento effettuato per la riscossione coattiva di crediti previdenziali nei suoi confronti. Il caso era del 1998 e dunque ampiamente superato, mentre la permanenza del risultato significava una macchia indelebile nel curriculum dell'uomo (Mario Costeja Gonzalez). 

Il gestore di un motore di ricerca su Internet è responsabile del trattamento effettuato dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi

così si sono espressi i giudici della Corte Europea in merito alla causa. Tuttavia, ha riconosciuto l'eccezione dell'interesse pubblico di un'informazione.

In sostanza, l'Ue conferma il cosiddetto "diritto all'oblio" dei singoli cittadini nei confronti della facoltà di ricercare notizie sulla propria persona su un motore di ricerca. Nel caso in cui, a seguito di una ricerca online a partire dal nome, l'elenco di risultati mostri un link verso una pagina web che contiene informazioni sulla persona in questione, questa può rivolgersi direttamente al gestore del servizio di ricerca per la soppressione del collegamento.

Se poi chi è responsabile del servizio, in questo caso Google che gestisce ben oltre il 90% delle ricerche in Rete nel Vecchio Continente, non da seguito alla domanda, ossia non rimuove il link in questione, il soggetto può avvalersi delle autorità per ottenere la soppressione del risultato sulla sua persona non gradito.

Il tutto ovviamente in base a determinate condizioni, dato che la corte stessa riconosce che, poiché la soppressione di link dall'elenco di risultati potrebbe avere ripercussioni sul legittimo interesse degli utenti di Internet, occorre ricercare un giusto equilibrio tra l’interesse generale dei navigatori e il diritto al rispetto della vita privata e il diritto alla protezione dei dati personali.

La reazione di Google non si è fatta attendere ed è stata rilasciata da un portavoce di Mountain View:

Si tratta di una decisione deludente per i motori di ricerca e per gli editori online in generale. Siamo molto sorpresi che differisca così drasticamente dall'opinione espressa dall'Advocate General della Corte di Giustizia Europea e da tutti gli avvertimenti e le conseguenze che lui aveva evidenziato. Adesso abbiamo bisogno di tempo per analizzarne le implicazioni.
La sentenza della Corte europea, interpellata in via pregiudiziale da un giudice spagnolo, individua due profili assai importanti: il primo direi inedito, riguarda la responsabilità diretta del gestore di un motore di ricerca per il trattamento dei dati personali, anche se si tratta di dati ripresi da siti web, che li hanno già diffusi, in ragione del ruolo che i motori di ricerca svolgono nella società moderna, il che vuol dire che il loro gestore deve trattare i dati personali, anche cancellandoli, ove richiesto, se ne sussistono i presupposti; il secondo riguarda la distinzione tra il sito web che ospita i dati e il motore di ricerca che li visualizza, mediante appositi link, il che vuol dire che i singoli siti potranno mantenere intatto il loro archivio, magari de-indicizzando i dati obsoleti

La sintesi è dell'avvocato Caterina Malavenda, esperta di diritto dell’informazione che spiega l’importanza di quanto stabilito dai giudici Ue per la privacy dei cittadini, ma anche per la tutela della memoria storica.

Il problema riguarda ora non più i singoli siti, ma i motori di ricerca, che diventano responsabili dei loro risultati, fornendo del singolo una visione complessiva e strutturata delle informazioni che riguardano il singolo individuo, semplicemente digitandone le generalità e che rispondono davanti alle autorità del Paesi Ue nei quali abbiano anche solo una filiale.

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