mercoledì 23 luglio 2014

Selfie-Phone, Nexus e WP nel futuro HTC

Nonostante HTC sia riuscita a raggiungere il break even, e sia tornata ad un bilancio in positivo, nell'arco del secondo trimestre del 2014 (dopo oltre un anno), la Società taiwanese è in cerca di nuovi investimenti, di nuovi progetti ambiziosi e appetibili ai numerosi utenti, desiderosi di gadget elettronici.


Nonostante l'esploit della Società taiwanese, tornata in positivo solamente nel secondo trimestre 2014 (dopo oltre un anno), da imputare soprattutto al successo del proprio top di gamma One (M8), i risultati complessivi della società restano ancora incerti. Sono infatti numerosi i tentativi fallimentari, intrapresi per cercare di uscire dal periodo di crisi che perdura ormai da anni.

Ora è in cerca del cambio di passo, soprattutto alla luce del fatto che, la concorrenza non è rimasta certo a guardare e ha, da qualche tempo, sondato il terreno fertile del mondo dei dispositivi indossabili. Come agire?

La compagnia di Taiwan ci ha provato in passato con il rilascio di top di gamma di qualità e con dispositivi di fascia media, attraverso strategie di mercato ben mirate. Secondo il Taipei Times, tuttavia, HTC potrebbe cambiare registro per il futuro, annunciando nei prossimi sei mesi una serie di dispositivi diversi in modo da capire l'accoglienza del mercato su fronti diversi.

Fra questi, troviamo uno smartphone noto con il nome in codice "Eye", della nuova categoria dei "selfie phone", con una fotocamera frontale di particolare pregio. Il device sarà annunciato negli Stati Uniti entro la fine dell'anno, presumibilmente nel quarto trimestre. Per il prossimo futuro è invece atteso HTC Butterfly 2, che ha già ottenuto varie certificazioni, e Nexus 9, conosciuto come Flounder e Volantis, di cui anche @evleaks ha più volte parlato di rilascio imminente.

HTC potrebbe entrare presto anche nel mercato dei Windows Phone 8, con un dispositivo che secondo il media asiatico potrebbe venire chiamato HTC W8. Lo smartphone potrebbe essere una versione di One M8 con il sistema operativo mobile di Microsoft, con lo stesso hardware e lo stesso design in alluminio unibody del top di gamma.

HTC W8 (non sappiamo se verrà confermato questo nome, un po' ambiguo se letto in lingua inglese) potrebbe essere annunciato ufficialmente nei prossimi mesi. Da HTC ci si attende anche uno smartwatch con Android Wear. Al momento non è semplice riuscire a prevedere il successo dei diversi terminali citati dal Taipei Times, e come questi possano riuscire ad alimentare i profitti del produttore.

Puntare su nuove famiglie di prodotti è naturalmente un azzardo, mentre cercare di creare seri profitti con un dispositivo Nexus è sostanzialmente impossibile (già la prima esperienza è servita da lezione).

La mancanza di un eventuale One M8 Prime, il diretto concorrente dell'altrettanto misterioso Galaxy S5 Prime, è un solo una dimenticanza della testata giornalistica di Taipei, oppure indica l'intenzione di HTC, di rinunciare a certe fette di mercato, già occupate dalle rivali di sempre?
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martedì 22 luglio 2014

MIT: corrente elettrica dall'unimità

Lo scorso anno un gruppo di ricercatori del Massachussets Institute of Technology ha compiuto una scoperta a dir poco stupefacente, non solo per la portata della scoperta in se, bensì per l'implicazione tecnologica nel nostro futuro.


Il ricercatore Miljkovic e il professore associato di ingegneria meccanica Evelyn Wang, infatti, avrebbero scoperto che, le gocce d'acqua che saltano via da una superficie superidrofobica durante un processo di condensazione, possono acquisire una piccola carica elettrica.

Non solo, avrebbero anche dimostrato che questo processo può generare una piccola corrente elettrica che può essere sfruttata per l'alimentazione di dispositivi elettronici. Si tratta di un approccio che potrebbe consentire di ricaricare dispositivi elettronici sfruttando l'umidità dell'aria e, come beneficio collaterale, di produrre acqua pulita.

Il dispositivo potrebbe essere di realizzazione relativamente semplice. I primi test sono stati effettuati usando placche in rame, ma il ricercatore sostiene che qualsiasi metallo conduttore può funzionare, incluso l'alluminio, sicuramente più economico del rame.

Nelle prime fasi della sperimentazione, il dispositivo è riuscito a generare appena 15 picowatt (10−12 watt) per centimetro quadrato della piastra metallica, ma Miljkovic ha dichiarato che il processo può essere messo a punto per riuscire a generare almeno 1 microwatt (10−6 watt) per centimetro quadrato, comparabile a quanto possibile ottenere con altri sistemi di recupero dell'energia termica o cinetica e sufficiente per l'alimentazione di dispositivi elettronici in zone remote.

A titolo di riferimento i ricercatori calcolano che con 1 microwatt per centimetro quadrato, un cubo di 50 centimetri di lato (indicativamente le dimensioni di un frigorifero portatile da campeggio) potrebbe ricaricare un telefono cellulare in circa 12 ore.

Limiti della tecnologia:

Il sistema, dal momento che il processo si basa sul fenomeno della condensazione, si rende necessario un ambiente umido così come un elemento dalla temperatura più bassa rispetto a quella dell'area circostante.

Come tutte le migliori scoperte, anche questa è frutto di casualità, una sorta di scoperta collaterale, infatti, i due ricercatori erano al lavoro lo scorso anno nel tentativo di sviluppare una superficie con migliori caratteristiche di trasferimento del calore, che potesse essere usata per applicazioni di dissipazione termica. 

Nelle loro sperimentazioni scoprirono che quando le gocce d'acqua presenti su una superficie superidrofobica andavano a unirsi per formare gocce di maggiori dimensioni, convertono l'energia di superficie in energia cinetica, la quale talvolta porta le gocce a saltar via spontaneamente dalla superficie, migliorando quindi il trasferimento di calore del 30% circa rispetto ad altre tecniche.


Solo in un secondo momento, i ricercatori hanno scoperto che, in questo processo, le gocce acquistano una piccola carica elettrica. Questa caratteristica consente di migliorare il trasferimento di calore poiché diviene possibile agevolare il salto della gocciolina impiegando una seconda placca di metallo con carica opposta, così da attrarre le gocce d'acqua.

Dotando la seconda placca di una superficie idrofila, è possibile sfruttare questo fenomeno per generare una corrente elettrica, in virtù del trasporto di carica da una piastra di metallo all'altra. E' quindi possibile alimentare un circuito esterno collegando ad esso le due piastre.

All'atto pratico questo dispositivo potrebbe essere realizzato con alette di metallo poste molto vicine tra loro, senza però entrare in contatto, similmente ad un dissipatore di calore. Il sistema opererebbe in maniera passiva, senza parti in movimento.

L'alimentazione di piccoli dispositivi elettronici, come ad esempio sensori per il monitoraggio di condizioni ambientali, può avvenire con piccole quantità di corrente elettrica. Ovunque si formi della rugiada potrebbe essere un sito idoneo per generare piccole quantità di energia per poche ore durante la mattinata.

Si tratta di un approccio completamente nuovo per recuperare energia e che può essere utilizzato per l'alimentazione di dispositivi MEMS o piccoli dispositivi elettronici. Recuperare energia elettrica dalla condensa è un'idea inedita, dal momento che il fenomeno della condensazione è sfruttato principalmente per la gestione del calore.
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lunedì 21 luglio 2014

BitLicense: da New York la ricetta per regolamentare i BitCoin

BitCoin sì o BitCoin no? Il dibattito continua e, mentre la moralità di certe persone sembra essere stata toccata, per via della potenziale implementazione nelle logiche losche del deep web, a New York le cose potrebbero cambiare.


Infatti, a circa un anno dall'avvio di un'inchiesta, il dipartimento dei servizi finanziari della Grande Mela (Department of Financial Services) ha rilasciato una copia della documentazione che include la proposta di "codici, norme e regolamentazioni" per le compagnie che comprano e vendono BitCoin e altre valute virtuali.

Dopo l'introduzione del primo bancomat per BitCoin nello stato del Canada, la prospettiva di prosperità si era interrotta più e più volte: dapprima l'attacco cracker ed il conseguente furto di Bitcoin per un valore di 1 milione di $ e successivamente, all'inizio di quest'anno, il fallimento di Mt Gox (la BitCoin exchange con sede a Tokyo). Ricordiamo che la compagnia nipponica è collassata a causa delle mancate coperture per tutelare i depositi dei clienti.
Ormai, tutto questo ce lo siamo lasciati alle spalle (o almeno si spera), e l'ascesa del conio virtuale sembra inarrestabile, infatti, alcuni analisti hanno pronosticato un incremento continuo della moneta virtuale. Destinazione? 50.000 $ per Bitcoin! O almeno così pare. 

Ecco perché, a New York hanno pensato bene di non ostacolare il suo percorso naturale, rischiando così di esserne travolti, ma hanno cercato di fruttarne a pieno le potenzialità. Da qui la proposta di una serie di requisiti per una speciale "BitLicense", che sarà pubblicata il 23 luglio nel Registro dello Stato di New York.

Le regole proposte si applicano a quelle realtà che vendono, comprano, trasferiscono, conservano o mantengono la custodia o il controllo dei BitCoin dei clienti, così come le compagnie che cambiano valuta reale in valuta virtuale su mandato dei commercianti. Le regole si applicano inoltre alle compagnie che convertono valute virtuali in altri tipi di valute virtuali, così come a coloro i quali emettono valuta virtuale. Non sono interessati da queste regolamentazioni i miner, ovvero quelle realtà che si occupano dell'elaborazione dati.

La proposta prevede che le compagnie intenzionate ad ottenere una BitLicense debbano mantenere una riserva di valuta virtuale pari, e della stessa tipologia, a quanto depositato dai clienti. E' poi necessario mantenere un registro dei nomi e dei recapiti dei clienti, esplicitare quali siano i rischi derivanti dall'uso della valuta virtuale e segnalare episodi che facciano nascere il sospetto di truffe e frodi. Tra gli altri obblighi è inoltre necessario nominare un ufficio di compliance e un security officer.

Il pubblico potrà consultare la documentazione e avrà 45 giorni di tempo per proporre osservazioni e modifiche a loro volta, con le regole che entreranno in vigore durante il mese di settembre.

Benjamin Lawsky, superintendent del Department of Financial Services, ha osservato:

Riteniamo che il continuo riscontro da parte del pubblico sarà importante per finalizzare questo quadro normativo. Non vediamo l'ora di iniziare a revisionare le considerazioni del pubblico sulle nostre proposte.

Lo stato più alla moda degli Stati Uniti può vantare un solido impianto normativo in ambito finanziario, per via della presenza a New York della sede della borsa e delle principali realtà finanziarie della nazione. Le posizioni del DFS di norma aiutano a delineare la tendenza della politica finanziaria anche in altri Stati.

La reazione delle varie realtà che operano in BitCoin è stata nel complesso positiva. Charles Cascarilla, CEO di itBit, una compagnia di trading bitcoin di Singapore, che si è recentemente spostata a New York, ha commentato:

Abbiamo adottato ogni possibile misura per assicurare che itBit protegga i consumatori, prevenga gli abusi e offra sicurezza. La proposta di una BitLicense si allinea con i nostri standard e pratiche attuali e abbiamo tutte le intenzioni di rispettare le linee guida definitive.

BitPay, compagnia che supporta i commercianti ad accettare BitCoin, ha invece espresso qualche preoccupazione per i requisiti di sicurezza, così come per l'obbligo di notificare al DFS le transazioni che superano i 10 mila dollari in un giorno.
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sabato 19 luglio 2014

Operazione Eye Moon: la Procura della Repubblica di Roma inibisce l'accesso a 25 domini internet, tra cui Mega.co.nz



Apprendiamo, attraverso il blog dell'Avvocato Fulvio Sarzana, che le tribolazioni di Kim, stanno per ricominciare, sono infatti emersi nuovi dettagli sull'operazione portata avanti dalla Procura della Repubblica di Roma, depositata lo scorso 14 Luglio e incentrata sul sequestro preventivo di 25 domini internazionali per violazione della legge sul diritto d'autore.

Alla base del sequestro la segnalazione di un piccolo distributore indipendente italiano, che ha notato la presenza in rete di copie pirata dei film "the congress" e "fruitvale station" da lui distribuiti e che non sono ancora presenti nel mercato.

L'operazione, indicata con il nome di "EyeMoon", vede coinvolti numerosi domini noti nel mondo del cyberlocking tra i quali:

    • cineblog01.net;
    • cineblog01.tv;
    • ddlstorage.com;
    • divxstage.eu;
    • easybytez.com;
    • filminstreaming.eu;
    • filmstream.info;
    • firedrive.com;
    • movshare.sx;
    • nowdownload.ag;
    • nowdownload.sx;
    • nowvideo.sx;
    • piratestreaming.net;
    • primeshare.tv;
    • putlocker.com;
    • rapidvideo.tv;
    • sockshare.com;
    • uploadable.ch;
    • uploadinc.com;
    • video.tt;
    • videopremium.me,
    • youwatch.org

Oltre a quelli elencati sono due i domini che spiccano tra tutti: il primo è Mail.ru (il più visitato sito russo e vera e propria community digitale per quel mercato) e il secondo è Mega.co.nz (servizio di cloud storage sviluppato da Kim Dotcom, ma se ci seguite, già lo conoscerete).

I server sui quali operano questi domini non sono in ogni caso stati fisicamente spenti, non trovandosi in territorio italiano. Quello che l'operazione ha fatto è stata bloccarne l'accesso a livello di indirizzo IP richiedendo in questo l'intervento dei vari provider internet nazionali. Usando DNS server non nazionali il blocco, come sempre accade in questi casi, viene facilmente arginato.

L'operazione in atto fa emergere nuovi dubbi su come si voglia operare per lottare contro la pirateria. Se quest'ultima porta infatti al blocco all'accesso di siti e servizi che non hanno direttamente, o non solo, a che fare con servizi di pirateria informatica se ne ricava un disservizio per tutti gli utilizzatori, anche per coloro che nulla hanno a che vedere con la pirateria.

L'esempio concreto è quello di Mega.co.nz: in questo sito di cloud storage è difficile non pensare che non fossero presenti anche file legati a contenuti piratati ma contestualmente questo è un servizio molto utilizzato per fini assolutamente leciti proprio per la facilità con la quale dei file anche di elevate dimensioni possono venir caricati e distribuiti a più utenti.

La strada seguita dalle autorità italiane sembra alquanto controversa, una sorta di esplosivo nello stagno: sicuramente si colpiscono gli obiettivi prefissati, ma si rischia di creare danni alla collettività inerme.
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venerdì 18 luglio 2014

Telespazio incontra il favore dei supermercati

Come avete intuito dal titolo, oggi parleremo di Supermercati, ovviamente lo faremo alla nostra maniera, combinando la tecnologia alla quotidianità.


Cosa succede, infatti, quando le catene dei supermarket si guardano attorno, in cerca di nuove fonti di informazioni, per sviluppare le proprie reti e incontrare sempre più i favori della clientela? E se lo facessero rivolgendo lo sguardo verso il cielo? Chi risponderebbe mai ad una tale esigenza?

Se pensate che la risposta sia "nessuno", beh, vi sbagliate di grosso. La risposta sembra averla trovata Telespazio, ovvero la joint-venture tra Finmeccanica (67%) e Thales (multinazionale di elettronica specializzata nei settori dell'aerospazio, difesa, e IT) (33%), uno tra i principali operatori al mondo nel campo dei servizi satellitari.

Se finora questo tipo di risorse venivano riservate ad enti governativi o all'intelligence nazionale, ora il mercato si sta estendendo alle realtà più quotidiane e, cosa c'è di più naturale dell'esigenza di acquistare beni di prima necessità? La risposta è una e una sola: "le supermarché".

A dire il vero, non è il primo tentativo di intersecare due realtà apparentemente così distanti, infatti da qualche tempo, miliardi di telespettatori e utenti di internet nel mondo ne stanno usufruendo (o stanno passivamente subendo la cosa, chi può dirlo!).

Poco fa ho utilizzato il termine francese, non per nulla, infatti, una delle parti in causa, ossia Thale, è una Società francese. Quest'ultima, insieme a Finmeccanica, dall'inizio del 2014 metteranno a disposizione del servizio di Intermarché, i propri satelliti. Attraverso la sua controllata francese, sta attuando una rete satellitare che collega 3551 punti vendita in tutta Europa.

Come funziona? 
Ogni notte, milioni di dati, tra cui i prezzi dei prodotti, passano attraverso una linea dedicata tra Bondoufle (Ile-de-France) e Fucino in Abruzzo (Italia), dove si trova il primo centro di teletrasporto commerciale globale guidato da Telespazio. Da lì, i dati criptati vengono trasmessi ad un satellite di proprietà di Eutelsat, partner di di Telespazio. Il satellite poi informa tutti i negozi Intermarché, inviando i propri dati tramite antenne paraboliche poste sul tetto.

Il segnale viene anche usato per trattare altri contenuti, come ordini, assegni e transazioni bancarie con carte di credito e persino la diffusione dei messaggi radio interni. Ogni mattina gli store manager possono prendere conoscenza di tutti i contenuti.

"Funziona come la ritrasmissione di una trasmissione pay-TV. Ogni capo di negozio può accedere a questo servizio grazie a un abbonamento di 50 euro al mese", afferma Jean-Marc Gardin (amministratore delegato di Telespazio), durante un'intervista al quotidiano Le Figaro. 

Dopo aver convinto le aziende di fornitura di acqua e di energia elettrica, Telespazio France vuole decollare nella distribuzione alimentare.

La grande forza del satellite è che è in grado di comunicare simultaneamente un gran numero di dati a tutti i membri di una rete

spiega l'azienda. 

E il supermercato online Leclerc Drive ha già espresso interesse per il servizio via satellite. Ma, presumibilmente, non sarà l'unico a voler adottare tale tecnologia.
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giovedì 17 luglio 2014

La privacy nazionale è compromessa! Non solo dicerie, ora sembra ufficiale.

Cosa rappresenta la privacy ai tempi di Facebook, Twitter e dei moderni mezzi di comunicazione (email, sms, telefonate, chat)?


Niente facile ironia, pensiamo più che altro alle notizie circolate negli ultimi giorni che riguardano gli Stati Uniti o la Russia. Perché non citare anche l'ultimo esploit tedesco?

Lo scandalo NSA ha forse aperto gli occhi, a chi ancora non se ne era accorto, della vulnerabilità della nostra privacy e di come la nostra vita, sempre più social, sia soggetta a continui controlli, da parte delle autorità competenti, ma soprattutto da parte degli organi che controllano i flussi di informazioni.  

A tal proposito, il governo tedesco avrebbe deciso di passare a soluzioni drastiche: abbandonare i computer, tornando così a qualcosa di più sicuro, ovvero le macchine da scrivere. Una sorta di ritorno alla meccanica, a sfavore dell'elettronica. Ciò evidentemente vorrà dire anche più scartoffie per il governo teutonico.

E in Italia?

I servizi segreti (Aisi e Aise), costituiti per la nostra difesa, purtroppo non sono più in grado di proteggere i dati da chi volesse entrarne in possesso.

Su Repubblica Marco Mensurati e Fabio Tonacci, nell’articolo "«A rischio email e telefonate degli italiani» il dossier segreto sul tavolo del governo", citano un rapporto del Garante per la Privacy che evidenzia quanto sia indifeso il nostro sistema di telecomunicazioni, che, da quando anche le telefonate sono state digitalizzate, è ancora più vulnerabile.

Mensurati e Tonacci sentono anche Giuliano Tavaroli, ex capo della sicurezza di Pirelli e Telecom coinvolto nello scandalo Telecom-Sismi, che dice senza troppi giri di parole: il problema non è se ci spiano, ma chi è che ci spia.

C’è un enorme buco nero nella sicurezza delle telecomunicazioni italiane. Una falla talmente ampia da mettere a disposizione di chiunque volesse attrezzarsi telefonate, sms, email, chat, contenuti postati sui social network. Tutto il traffico online del Paese, insomma. Non si tratta di un allarme generico ma di un pericolo più che concreto, tanto che negli ambienti dello spionaggio internazionale si dà per scontato che l’Italia sia da anni «interamente controllata». Da Nord a Sud. Quello che non si sa, però, è da chi.

A denunciare questo buco è una relazione riservata del Dipartimento attività ispettive dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali, inviata al presidente del Consiglio dei ministri, al ministro per lo Sviluppo economico, a quello dell'Interno e al sottosegretario con delega all'Intelligence Marco Minniti.

Tre pagine che riassumono un rapporto lunghissimo, stilato dagli ingegneri informatici del Garante tra aprile e maggio dopo lo scandalo mondiale del Datagate del 2013. E nonostante le rassicurazioni del governo italiano, che in quell'occasione, per bocca dello stesso Minniti, aveva detto che «la tutela della privacy delle comunicazioni interne in Italia è garantita con ragionevole certezza».

Tutto ruota intorno agli Internet eXchange Point (IXP) e ai sistemi di sicurezza, insufficienti, che li dovrebbero proteggere. Gli Ixp sono delle infrastrutture chiave per il funzionamento di Internet.

Di fatto sono dei luoghi fisici in cui convergono tutti i cavi che trasportano i dati degli utenti dei vari Internet Service Provider (Telecom, Fastweb, H3G, ecc. ecc.). In questi luoghi, i dati vengono letti, elaborati e dunque smistati nella Rete.

Per fare un esempio: le informazioni di navigazione di un utente qualsiasi che da rete Fastweb si colleghi con un sito il cui server è ospitato da Telecom, passa necessariamente per uno di questi Ixp. In Italia ce ne sono nove, ma tre sono quelli fondamentali: uno a Milano (il “Mix”), uno a Torino (il “Top-IX) e uno a Roma (il “NaMex”).

Tali apparati, scrivono gli ispettori del Garante, dispongono di funzionalità tecniche che possono consentire di replicare, in tempo reale, il traffico in transito dirottando il flusso replicato verso un'altra porta (port mirroring)

Nel corso dei controlli questa funzione non era attivata, specificano gli ispettori, aggiungendo però che se qualcuno volesse esaminare il traffico in transito potrebbe farlo «con una certa facilità, attivando la funzione di port mirroring e poi utilizzando appositi strumenti di analisi». Sarebbe dunque un gioco da ragazzi duplicare il traffico degli utenti, dirottarlo altrove su grossi database e poi con calma analizzarlo. Certo occorrerebbe prima entrare dentro queste strutture ma, è proprio questo il punto, la cosa appare tutt'altro che impresa ardua.

«Abbiamo una certificazione di sicurezza Iso27001», spiega l'ingegner Michele Goretti, direttore dell'Ixp di Roma. «E anche l'ispezione del Garante non ha fatto emergere problemi».

In realtà non deve essere andata proprio in questi termini se nella relazione c'è scritto che sono emerse «una serie di gravi criticità sulle misure di sicurezza logiche e fisiche concretamente adottate da queste società/consorzi nella gestione dei loro sistemi».

La cosa merita la massima attenzione, continuano gli ispettori, in quanto si tratta di strutture nevralgiche nel sistema di comunicazioni elettroniche del Paese poiché attraverso questi nodi di interscambio passano enormi flussi di traffico relativo alle comunicazioni degli abbonati e utenti (anche pubbliche amministrazioni e imprese) dei principali operatori nazionali.

Da una decina di anni anche le chiamate vocali (sia da fisso sia da mobile) vengono digitalizzate, sono cioè trasmesse via web.

Per tanto un inadeguato livello di sicurezza può riflettersi negativamente sia sui diritti dei singoli cittadini, pregiudicando la riservatezza delle loro comunicazioni e la protezione dei loro dati personali, sia gli interessi istituzionali ed economici degli enti e delle imprese.

Il rischio, secondo Goretti, è molto ridotto: «In linea teorica la possibilità di duplicare i dati c’è. In pratica sarebbe molto complesso farlo e i risultati sarebbero molto parziali: bisognerebbe duplicare i dati di tutti gli Ixp del paese». Cosa complessa ma certo non impossibile, visto che gli hardware ospitati in queste strutture sono di varia provenienza: ci sono, ad esempio, router a marchio Huawei e Cisco, due multinazionali non estranee alle recenti polemiche sullo spionaggio.

La manutenzione delle macchine può essere fatta anche da remoto e volendo non sarebbe complicato avviare funzionalità di mirroring e dirottare il traffico copiato. Tra i 132 operatori connessi al "Mix" di Milano ci sono gli americani At&T, Amazon, Facebook, Google, Microsoft, Verizon.

Giuliano Tavaroli, ex responsabile della sicurezza di Telecom e del Gruppo Pirelli, la vede in maniera a dir poco laica:

Il problema non è se i dati vengano o meno copiati. Questo in fondo starebbe nelle cose, e al massimo bisognerebbe capire chi è che intercetta e perché, visto che in Italia i nostri servizi segreti non dispongono dei mezzi per immagazzinare e analizzare moli significative di dati. Il vero problema è che, considerato il livello scarso di sicurezza di queste strutture, se fossero intercettate in Italia, oggi, non ce ne riusciremmo nemmeno ad accorgere.

Oltre che di sicurezza e di privacy, gli ispettori del Garante ne fanno anche una decisiva questione di regole:

Per svolgere la propria attività gli Ixp non hanno la necessità di trattare i dati personali degli abbonati o degli utenti e quindi [...] non assumono la qualifica di titolare del trattamento, in relazione alla quale il Garante potrebbe prescrivere loro direttamente le misure ritenute necessarie o opportune per rendere il trattamento dei dati conforme alle disposizioni di legge

Come a dire,sono liberi di fare ciò che vogliono, senza essere controllati.

Se all'apertura del post, vi stavate facendo una risata, ora, forse, il vostro umore avrà assunto tinte più fosche. La nostra privacy dovrebbe essere garantire da enti governativi, che non hanno le risorse per operare in maniera efficiente ed efficace?

Perché le fonti di informazioni classiche, preferiscono parlare di polita farlocca, di gossip insulso e di sport, invece che mettere in guardia i poveri utenti inermi?
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mercoledì 16 luglio 2014

Google e Novartis al lavoro sulle lenti a contatto smart. Accordo raggiunto

Nel gennaio scorso, la rete aveva lasciato trapelare alcune indiscrezioni su un ambizioso progetto targato Big G.


Si era parlato dell'introduzione delle fantomatiche lenti a contatto smart di Google. Se allora la notizia era parsa quasi visionaria, adesso il panorama sembra cambiato, infatti, il gigante svizzero dell'industria farmaceutica Novartis ha deciso di occuparsi della commercializzazione.

Le due aziende hanno annunciato che Novartis userà in licenza la tecnologia di Google per creare speciali lenti a contatto per i pazienti diabetici.

I termini dell'accordo tra le società, confermati in una nota di Novartis, non sono stati specificati nei dettagli ma la casa farmaceutica ha reso noto che la sua divisione ottica Alcon lavorerà con un team di Google per sviluppare una lente a contatto dotata di microchip ed elettronica miniaturizzata. L'obiettivo è di sviluppare una lente 'smart' che possa fornire una misurazione continua dei livelli di glucosio nel sangue nei pazienti diabetici, attraverso la misurazione del fluido lacrimale. 

Una volta raccolti, i dati saranno trasmessi wireless ad un dispositivo mobile che permetterà all'utente di tenere sotto controllo la propria situazione facilmente.

Con il progetto delle lenti smart, ci si augura di aiutare i circa 382 milioni di diabetici nel mondo, che hanno bisogno di mantenere sotto stretto controllo il livello di zucchero nel sangue.

Novartis, però, sembra non interessata al semplice monitoraggio del glucosio. Pare abbia in mente di usare la tecnologia per curare la presbiopia delle persone che non riescono più a leggere senza occhiali e sta anche valutando la possibilità di impiantare le lenti direttamente negli occhi.

La lente potrebbe, quindi, fungere da autofocus, contribuendo a ripristinare la messa a fuoco automatica naturale dell'occhio su oggetti vicini per i pazienti affetti da presbiopia.

Inoltre, studi di settore stimano che circa il 50% della popolazione dei Paesi sviluppati è presbite. Quindi, supponendo che le lenti a contatto possano essere utilizzate in tutte le fasce di età, il 50% delle applicazioni potrebbe essere effettuato a pazienti presbiti.

Questo per noi è un passo fondamentale per andare oltre i confini della tradizionale gestione delle malattie, a cominciare dagli occhi

ha dichiarato il Ceo di Novartis, Joseph Jimenez.


Finalmente le lenti smart saranno realtà, anche se per ora sono solo un prototipo e ci vorranno almeno cinque anni prima che possano arrivare alla vera e propria commercializzazione.

Nel frattempo, Google continua lo sviluppo delle proprie lenti smart all'interno della divisione segreta Google X, culla dei Google Glass e dei progetti di robotica e intelligenza artificiale di Mountain View.
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