martedì 15 luglio 2014

Microsoft Research sforna "Project Adam"

Ieri all'annuale Research Faculty Summit, Microsoft ha mostrato un progresso non indifferente nella sua tecnologia per l'Intelligenza Artificiale.


Di cosa si tratta? Durante l'evento, è stata presentata un'app, chiamata Project Adam, in grado di identificare tutto quello che la circonda, un po' come mostrato durante l'evento di presentazione organizzato da Amazon per il suo Fire Phone. 

Microsoft Research ha sviluppato una sorta di estensione delle facoltà di Cortana che, con questo upgrade, sarà in grado di vedere e riconoscere gli oggetti. L'app è ancora in fase di sviluppo, ma mostra già risultati davvero promettenti.

Secondo Microsoft, Adam sarebbe stata meticolosamente calibrata perché i ricercatori potessero imitare il cervello umano, creando un computer ad alte performance che costruisce e conserva dati su un sistema a larga scala di distribuzione che lavora come i processi neurali delle persone. Trishul Chilimbi e il suo team hanno sviluppato la rete neurale dell'app.

Ricerche recenti, affermano, si concentrano su Project Adam e la sua classificazione di oggetti, raccogliendo un massiccio database di 14 milioni di immagini dal web e da siti come Flickr, con 22.000 categorie generate dall'uso dei tag da parte degli utenti. Usando 30 volte meno macchine di altri sistemi, i dati sono stati utilizzati per ‘addestrare’ una rete neurale fatta da più di due miliardi di connessioni. Questa infrastruttura modulare è due volte più precisa e la sua capacità di riconoscere gli oggetti è 50 volte più veloce di altri sistemi.

La dimostrazione dell'app includeva l'identificazione della razza di tre cani davanti ad una platea. E l'esperimento è riuscito perfettamente.


La commercializzazione, evidentemente, è ancora lontana; nonostante ciò, però, pare proprio che Project Adam potrebbe presto rappresentare lo standard da seguire ed inseguire.

Lo step successivo potrebbe essere rappresentata dalle feature auspicate dai ricercatori Microsoft: potrebbero presto arrivare anche applicazioni in grado, per esempio, di fornire le indicazione di tutti i contenuti nutrizionali di un pasto da una semplice foto, o la corretta diagnosi di una malattia della pelle o, ancora, il riconoscimento di piante commestibili cresciute spontaneamente.

Il futuro ci è amico insomma. Speriamo che i principi cardine, che hanno alimentato questa ricerca, non vengano snaturati. E' evidente che, la strada percorsa da Microsoft non può essere che quella vincente.
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lunedì 14 luglio 2014

Windows 9 fa capolino in rete: torna il "Menu Start"

Ormai non è un segreto: la trovata di Microsoft di eliminare il classico "Menù Start", con l'introduzione di Windows 8,  è stata tutt'altro che felice.


Chiusa questa parentesi, a Redmond sono pronti a rimediare. Alla conferenza Build tenuta nel mese di aprile, Microsoft annunciava e mostrava al pubblico il nuovo Menu Start, tradizionale nella forma, ma basato sui dettami stilistici della nuova interfaccia Modern UI, che sarebbe stato introdotto in una release successiva di Windows 8.

Secondo le ultime informazioni, tuttavia, la feature non sarà rilasciata prima di Windows 9 (nome in codice Threshold), di cui una prima versione preliminare sembrerebbe già disponibile negli intricati meandri del web. 

La Build è la 6.4.9788 che negli screenshot riporta ancora il nome Windows 8.1 Pro. Secondo Neowin, che ha pubblicato l'immagine e contattato "fonti interne", l'immagine è affidabile e le prime versioni del nuovo sistema operativo utilizzano ancora il precedente branding.



Stando alle parole della fonte "questa build si troverebbe già sul web, ma non è stata ancora divulgata pubblicamente". Considerando il primo flusso di immagini, è probabile che la stessa build farà capolino in un futuro non troppo lontano.

Come già detto in occasione del post del 2 luglio, la nuova versione di Windows potrebbe utilizzare interfacce diverse su PC che adottano form factor differenti. L'interfaccia Modern UI non verrà pertanto del tutto eliminata, ma verrà presentata esclusivamente sui dispositivi due-in-uno, che supporteranno lo switch fra le due interfacce in base alle eventuali periferiche di input collegate.
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sabato 12 luglio 2014

L'equo compenso "miete le prime vittime"

Politica e tecnologia sembrano non andare d'accordo. Mai come in questi ultimi mesi, però, l'intervento statale in una questione delicata come quella inserita nell'ordine del giorno da SIAE e Ministero dei beni e delle attività culturali.


Ne avevamo parlato qualche giorno fa e ora, quasi tre settimane dopo, cerchiamo di fare il punto della situazione.

Basta dare un'occhiata ai social network per capire quanto controverso sia questo fantomatico #equocompenso (perché, questo è uno dei tag più quotati su Twitter). Il dibattito sul decreto Franceschini non si placa, anzi, dopo le motivazioni addotte alla propria ragion d'essere (al limite del ridicolo aggiungiamo noi, e non solo noi), l'ira degli utenti e delle categorie interessate (perché dovete sapere che coinvolge non solo i produttori di devices elettronici, bensì giornalisti e altre categorie). 

A difendere con maggior forza il decreto è proprio la SIAE, ma questo non stupisce, soprattutto alla luce del fatto che sia il primo organo a giovarne. 
In ogni caso sono due i "filoni difensivi" pro equo compenso:

  1. il primo è uno strillo a gran voce che invoca un adeguamento all'Europa, che nel legislatore è privata di 26 stati lasciando solo Francia e Germania, le uniche usate per fare una media e dimostrare di conseguenza che le tasse Bondi-Franceschini italiane sono non solo accettabili, ma legittime.
  2. il secondo, vero piedistallo della "difesa", riguarda un assurdo di microeconomia. Il decreto, questo è innegabile, prevede l'imposizione della tassa ai produttori, e il ministro Franceschini lo dice a chiare lettere nella nota ministeriale del 20 giugno 2014


GARANTITA LA CREATIVITÀ

"Con questo intervento si garantisce il diritto degli autori e degli artisti alla giusta remunerazione delle loro attività creative, senza gravare sui consumatori."



Sempre il Ministro, nel video dell'audizione del 7 maggio 2014, porta come esempio che "come sapete tutti, la gran parte dei tablet e degli smartphone sono a prezzo fisso", come ad esempio iPhone (sono parole sue, qui il link per sentire al minuto corretto le parole precise).

Eppure i fatti sono lì sotto gli occhi di tutti, tranne di chi non vuol vedere o è stato consigliato male.

Sembra un invito a nozze: andiamo sul sito Apple e simuliamo l'acquisto di un prodotto fra quelli soggetti all'equo compenso (uno smartphone iPhone) e di una borsa per PC, miracolosamente scampata al decreto, poiché permette di trasportare potenzialmente un dispositivo che potenzialmente può essere usato per fare una copia privata (si lo so, fa ridere anche solo a leggerlo).

iPhone 5s


IVA e oneri di legge inclusi. Non viene indicato quali siano questi oneri di legge, ma è facile intuirlo. Si potrebbe però pensare che vi possa essere qualcos'altro, magari legato a particolari politiche commerciali di Apple, allora vediamo un po' se scegliendo un articolo differente, non soggetto all'equo compenso, le cose cambiano.

Pochette per iPhone 5s e borsa per MacBook Pro


Nel prezzo finale, in questo caso, è inclusa solo l'IVA. Vi invitiamo a ripetere l'operazione, per verificare personalmente la controversia. Per questioni di tempo, abbiamo riportato un solo esempio, tratto dall'Apple Store, ma potrete verificare che anche tutti gli altri produttori fanno ricadere l'equo compenso sull'utente finale.

Scorrendo la pagina dell'acquisto fino in fondo, nelle famose righe in piccolo, si legge poi una cosa interessante:


Avete letto bene, si: "I prezzi comprendono la tassa sul copyright e il contributo per il riciclo, se applicabili", tutto è scritto, basta leggere.

C'è un'ultima possibilità: il nuovo decreto entra in vigore fra qualche giorno, motivo per cui saremmo davvero contenti di vedere che questi prezzi non cambieranno, confermandoci che il Ministero è davvero riuscito ad imporre ai produttori di accollarsi la tassa (che, ricordiamo, per un hard disk da 2TB esterno è di ben 20 Euro, considerando che ogni GB implica un contributo di € 0,01).

Per farvi un'idea più precisa delle implicazioni economiche che avrà questo contributo (a carico di produttori e importatori di prodotti elettronici che sono in grado di registrare o riprodurre contenuti protetti da diritto d'autore), potete consultare la gazzetta ufficiale all'articolo 2.

Non ci rimane che tenere monitorati i prezzi e illuderci che il Ministero abbia fatto un buon lavoro. C'è da augurarsi, almeno, che quest'ultimo abbia firmato l'accordo mal consigliato e, quindi, in buona fede.
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venerdì 11 luglio 2014

Batterie agli ioni di litio 2.0

Se siete nostri lettori affezionati, sicuramente saprete che la nostra redazione ha molto a cuore il tema della tecnologia che sta alla base della realizzazione delle batterie.


Sebbene siamo consapevoli del fatto che la completa indipendenza dei devices, da una rete energetica classica, sia davvero troppo avveniristica, auspichiamo, da tempo, l'avvento di celle performanti che permettano a smartphone, tablet, notebook, robot casalinghi e perché no, anche automobili elettriche, di raggiungere autonomie sempre più decorose.

Per capirci, un notebook con autonomia di 2 ore è davvero anacronistico. Che senso può avere un dispositivo portatile, se lo devo collegare alla rete ogni due ore di lavoro? Ecco perché la soluzione scelta da Apple per i suoi Macbook (circa 9 ore di autonomia) sembra davvero più compatibile con le esigenze quotidiane di un utente medio. La combinazione di capacità estesa e ottimizzazione dei processi di carica/scarica, ha reso possibile un risultato davvero insperato, fino a qualche anno prima.

Il progresso non si ferma e, ciò che noi auspichiamo da molto tempo, potrebbe essere presto realtà.

I ricercatori del Bournes College of engineering presso l'University of California Riverside, infatti, hanno sviluppato una nuova batteria agli ioni di litio che supera di tre volte le prestazioni delle medesime batterie, attualmente disponibili.


Qual è l'"ingrediente segreto"? Pare possa essere la silice, che andrebbe a costituire l'anodo della cella.

L'idea è venuta a Zachary Favors (studente del Bournes College) che, durante una passeggiata sulla spiaggia, avrebbe realizzato come la sabbia (composta da  fosse composta sostanzialmente da quarzo), un materiale che risulta essere particolarmente promettente per lo sviluppo di batterie ad alte prestazioni.


La ricerca di Favors si è orientata verso il miglioramento delle caratteristiche dell'anodo, il polo negativo di una batteria, che viene comunemente realizzato impiegando la grafite. Questo materiale però è ormai arrivato al limite delle sue possibilità e non è più in grado di sostenere quelle esigenze di densità di carica e di energia che oggi e in futuro si riveleranno indispensabili per l'evoluzione del panorama elettronico.

Le attività di ricerca nel campo delle batterie si stanno muovendo su una strada che prevede l'impiego di silicio su nanoscala, che però risulta difficile da produrre in grandi quantità e può degradarsi velocemente. E' a questo punto che entra in gioco il quarzo, che altro non è che diossido di silicio.


Favors si è procurato della sabbia ad alta concentrazione di quarzo, che è stata sottoposta dapprima ad una lavorazione per portarne la granulometria nell'ordine dei nanometri ed in seguito ad una serie di processi di purificazione che hanno trasformato il suo colore dal marrone ad un bianco candido. Quanto ottenuto è risultato simile, per colore e aspetto, allo zucchero a velo.

La polvere di quarzo purificata è stata sottoposta ad un ulteriore processo: dapprima miscelata con sale e magnesio (presenti disciolti in grandi quantità nell'acqua marina) e quindi riscaldata. Il sale ha assorbito il calore, permettendo al magnesio di legarsi con le particelle di ossigeno presenti nel quarzo. Favors ha così ottenuto una polvere di silicio puro, per di più nanoscopico.

Ma c'è di più: il silicio risultante mostra una struttura porosa, come fosse una spugna, caratteristica altamente desiderabile per la realizzazione di un anodo per batteria, e proprio ciò che ha consentito di triplicare le prestazioni, dati alla mano dai primi test di laboratorio effettuati, rispetto alle batterie odierne.

E' il sacro graal: una maniera economica, non tossica e amica dell'ambiente per produrre anodi ad alte prestazioni per le batterie agli ioni di litio

ha commentato Favors.

I ricercatori stanno ora lavorando ad un metodo per produrre il nanosilicio su larga scala, partendo dalla polvere di quarzo, e per realizzare batterie simili a quelle presenti negli smartphone di oggi.

E' la rivalorizzazione di ciò che già abbiamo, la strada perseguita da Favors. Quanto ci impiegherà ad essere implementata su larga scala, questa tecnologia? Ci auguriamo non troppo.

In ogni caso, poi, rimarrebbe un altro aspetto da valutare, per quanto concerne le batterie, ovverosia il ciclo utile del prodotto e il deterioramento delle stesse. 

Se è vero che una batteria agli ioni di litio, installata su un notebook, subito dopo l'acquisto può durare 3 o 4 ore, per quanti cicli conserverà le sue performance attuali?
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giovedì 10 luglio 2014

"Kids react to..." Game Boy


La reazione, inequivocabilmente sconcertata, ha ispirato il video che vi mostreremo oggi. Chi di voi non ha mai giocato con un Game Boy? Si, esattamente, il gadget in questione è proprio uno dei più grandi successi Nintendo.

Peccato però, che le generazioni attuali, nemmeno sappiano della sua esistenza. Cosa succederà al primo approccio di alcuni bambini (intorno ai 10 anni) con il videogames portatile, che ha fatto la storia della Società nipponica?

Ecco l'ennesima puntata della serie "Kids react to…":


La storica console che ha accolto nell'ordine Tetris, Double Dragon, Gargoyle's Quest, Castlevania, The Legend of Zelda : Link's Awakening e ancora gli eccellenti Super Mario Land e Super Mario Land 2 : 6 Golden Coins, non è stata riconosciuta da tutti, eppure la fama avrebbe dovuto precederlo, no?

Se avete dato un'occhiata al video, vi sarete resi conto che, alcuni di loro hanno fatto fatica addirittura a riconoscere la destinazione d'uso dello stesso. Alcuni hanno pensato fosse una sorta di iPhone preistorico e altri un lettore MP3.

Non sconcerta più di tanto,  dire il vero, dato che l'età dei partecipanti al test/gioco, lascia pensare che, si siano approcciati al mondo videoludico, in corrispondenza dell'uscita di devices più moderni come: 3DS, PS Vita, o verosimilmente con lo smartphone e tablet di mamma e papà.

Fa sempre tanta simpatia, vedere come i "nativi digitali" (come vengono definiti ai giorni nostri) si trovino spiazzati, di fronte agli avi dei loro fedeli compagni di viaggio. Chiaro che, per dei ragazzini abituati a videogames a colori, con performance grafiche paragonabili a quelle delle console, ritrovarsi fra le mani un Game Boy, con display bicolore (verde/giallo e nero, vi ricordate?), dev'essere stato disorientante. 
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mercoledì 9 luglio 2014

Relazione tra videogames e cervello umano

Nel corso degli anni, diversi studi (vedi quella riportata da Time e quella riportata da nature.com), hanno cercato di evidenziare gli effetti benefici, prodotti dai videogiochi, sia sull'attività cerebrale che, per quanto riguarda il benessere del corpo.


Per quanto riguarda l'ultima categoria citata, si fa evidentemente riferimento a Kinect o a Nintendo Wii. 

Forse, però, ancora nessuno aveva riassunto, in breve, i risultati globali degli studi tematici; ebbene ci ha pensato Liberty Games che, con l'infografica riportata a fondo pagina, ha rimediato a tale mancanza.

Per parafrasare il l'egregio lavoro del sito dedicato ai giochi (elettronici e non), possiamo dire che il 40% della popolazione online ha giocato almeno una volta negli ultimi 12 mesi, con una differenza nella dedizione ai giochi, tra i due generi, che ormai è irrilevante. Il 20% dei genitori, inoltre, gioca insieme ai propri figli al fine di ottenere benefici per la salute.

Secondo gli studi, poi, i videogames portano ad una maggiore attività nella corteccia prefrontale destra e nell'ippocampo destro, producendo un incremento della materia grigia nel cervelletto. Tutte queste attività cerebrali porterebbero a benefici nel lungo periodo in termini di capacità di pianificazione strategica, formazione della memoria, orientamento e attività motorie.

Il tempo speso con i giochi d'azione può migliorare la capacità di lettura nei bambini dislessici, mentre un gioco come Pac-Man è in grado di rallentare l'attività cerebrale e ridurre l'ansia. Secondo un altro studio, il 17% degli impiegati di un call-centre ha verificato una minore produzione di cortisolo, il cosiddetto "ormone dello stress", per il fatto di aver giocato al videogioco di Matrix. Il 44% dei teenager depressi che hanno giocato Sparx, un videogioco integrato appositamente all'interno di alcune terapie cognitivo-comportamentali, ha superato completamente il proprio problema.

Starcraft, inoltre, è in grado di migliorare la flessibilità del cervello, mentre Tetris, sottoposto a chi ha partecipato alla ricerca per 30 minuti al giorno per un totale di tre mesi, ha aumentato lo spessore della corteccia cerebrale, il che migliora le abilità legate al linguaggio, alla memoria, oltre che la cosiddetta consapevolezza percettiva.

Insomma, mettendo insieme tutti gli studi sui videogiochi svolti nel corso degli anni, ci si rende conto come i tanto bistrattati videogiochi, in fin dei conti, consentano di avere benefici per ciascuna parte del nostro corpo.

Come sempre, è l'abuso a rendere la pratica controproducente.

Come anticipato, ecco l'infografica che ha ispirato il post:


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martedì 8 luglio 2014

Il risparmio energetico mondiale passa dall'ottimizzazione dei protocolli per i dispositivi in stand-by

Un nuovo report di International Energy Agency punta il dito contro l'inefficienza energetica di alcuni apparecchi tecnologici. Se, al momento dell'utilizzo risultano funzionali e sempre più indispensabili, quando vengono messi in stand-by, quale sarà la loro efficienza?


Dagli studi condotti dalla IEA, le evidenze non lasciano spazio a dubbi: ogni anno ci costa circa 60 miliardi di euro.

Dite la verità, chi non vorrebbe una casa su misura d'uomo, che svolga esattamente tutti quei compiti più noiosi e faticosi, a cui la vita domestica ci ha abituati? 

Ecco perché la domotica ha preso sempre più piede nella nostra realtà abitativa. Quest'ultima però, non è altro che un insieme di sensori e di dispositivi elettronici "always-on" energivori. Per quanto si analizzo solo ed esclusivamente l'aspetto della comodità e, talvolta, della moda, si dovrebbero mettere in conto anche gli sprechi degli stessi apparecchi quando sono in "stand-by".

Proprio su questo verte la ricerca svolta dall'International Energy Agency, che nell'ultimo report, stabilisce che, complessivamente, ogni anno si sprecano 80 miliardi di dollari a causa dell'inefficienza tecnologica.

Secondo l'IEA, nel mondo sono presenti 14 miliardi di dispositivi connessi ad internet (modem, stampanti, console da gioco, apparecchi per la TV) che hanno consumato nel 2013 circa 616TWh (616 * 1012 watt per ora). 

Una quota pari a circa 400TWh è da attribuire esclusivamente alle tecnologie di standby poco efficienti. In prospettiva, si tratta di una cifra equivalente al consumo energetico combinato di Regno Unito e Norvegia, di un anno intero.

La radice del problema, secondo l'IEA, è da ricercare nella cattiva gestione energetica dello "stand-by di rete" dei dispositivi di oggi, ovvero il protocollo che consente al dispositivo di mantenere attiva una connessione di rete anche quando non in uso, in attesa di svolgere la propria funzione principale. Molti dispositivi di rete consumano in standby la stessa energia richiesta quando pienamente attivi, in base a quanto si legge sul resoconto dello studio di IEA.


Il fenomeno potrebbe addirittura evolversi in negativo entro il 2020, lasso di tempo in cui si potrebbe arrivare ad uno spreco quantificabile in 120 miliardi di dollari ogni anno. Entro la data fissata dall'agenzia arriveranno in commercio molte altre tipologie di dispositivi connessi ad internet, come lavatrici, frigoriferi, forni o termostati.

Non fare più uso di dispositivi connessi ad internet non è certamente la soluzione al problema. La IEA si rivolge ai produttori, ad esempio, consigliando loro l'uso di componenti elettroniche più parche nei consumi o l'adozione di software maggiormente ottimizzato. Solamente questa piccola pratica potrebbe abbattere il consumo annuo del 65%.

Nei prossimi anni, l'uso delle più recenti tecnologie e l'applicazione di misure volte all'efficienza energetica potrebbero tradursi in un risparmio di circa 600TWh (600 * 1012 watt per ora) che, secondo il report, potrebbero permettere di avere 600 milioni di tonnellate di anidride carbonica in meno nei nostri cieli, prodotta da ipotetiche duecento centrali standard a carbone da 500 Megawatt (10watt).

E l'utente finale, può fare qualcosa per arginare il fenomeno? Evidentemente ognuno di noi può premurarsi di disconnettere le spine a TV, decoder, modem, stampante per in estate, durante le ferie estive o comunque nei periodi in cui si sta lontano da casa per qualche giorno. 

Basterebbe questo, se fatto su scala mondiale, per risparmiare circa 65GWh (65 * 10watt per ora)

Se volete approfondire l'argomento e avere maggiori dettagli, potete consultare il PDF rilasciato dalla IEA a questo link.
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